Il 17 maggio di dieci anni fa moriva Luigi Pintor, firma storica deIl Manifesto.
Il suo impegno civile e politico ebbe inizio con la partecipazione alla resistenza, durante la quale fu arrestato e torturato. Dopo la liberazione e la fine del secondo conflitto mondiale incominciò a lavorare a L’Unità e nel 1962 divenne membro del Comitato centrale del Partito Comunista Italiano. Aderì all’ala di sinistra del Partito di Pietro Ingrao, che si opponeva alla componente più moderata di Giorgio Amendola. Le posizioni critiche di Pintor nei confronti degli amendoliani vertevano sul modello di sviluppo alternativo ed erano il frutto di un’accurata analisi del neocapitalismo emergente.
Nel 1968, dopo l’invasione di Praga, Pintor prese nettamente le distanze dalla politica estera sovietica e nel 1969 partecipò, con Lucio Magri, Valentino Parlato, Luciana Castellina, Rossana Rossanda e Aldo Natoli alla nascita del mensile Il Manifesto. Il PCI non gradì la linea della rivista e con l’accusa di frazionismo decise di radiare Pintor, Rossanda e Natoli.
Il 28 aprile del 1971, il Manifesto diventò quotidiano e Pintor ne assunse la direzione. Il collettivo del giornale, con il forte sostegno di Pintor, decise di presentarsi alle elezioni politiche, alla Camera dei deputati, nel 1972. L’esperimento fallì, il Manifesto otterrà appena uno 0,8% dei consensi.
Dopo essere stato esponente del Pdup, nel quale il Manifesto era precedentemente confluito, Pintor venne rieletto da indipendente nel 1987 alla Camera dei deputati tra le fila del Pci.
Nel 1990 uscì dal comitato editoriale del giornale, ma tornò a dirigerlo nel ‘91 e nel ‘94. Le sua collaborazione con il Manifesto non si interromperà mai e durò fino al 2003, l’anno della sua morte.
Sarà ricordato nell’ambito del giornalismo italiano per il suo stile asciutto e aforismatico, mai incline alla retorica, costellato di continui suggerimenti critici. Ma sarebbe sbagliato, come ha sottolineato Luciana Castellina, che “nel commemorare Luigi passi l’idea, presente in molte pur rispettose e anche affettuose commemorazioni, di un grande giornalista, di un raffinato intellettuale, di un prodigioso polemista e però di un irrealistico e sconfitto profeta“.
La figura di Pintor non può essere svilita in un romanticismo di comodo; l’esigenza di creare un soggetto alternativo di sinistra, la sua lettura critica ad un capitalismo informale e finanziario impossibile da emendare, ci convocano ad una riflessione profonda sul presente.
In questa fase storica in cui un asettico capitalismo di estrazione si è sostituito ad un capitalismo di produzione e in cui il neoliberismo ha, in un certo senso, fatto proprio il concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci, autore molto amato da Pintor, ritornare alla sua lezione ci sembra più che mai opportuno.
Infine, vogliamo ricordare il suo ultimo editoriale del 24 aprile 2003, dal titolo Senza Confini. Ivi si prendeva atto della fine di una stagione politica per l’Italia e della subalternità alle politiche della destra da parte della sinistra liberal democratica. Le ultime parole dell’articolo sono rivolte al futuro e tracciano i contorni di un nuovo soggetto che sappia esprimere una rinnovata concezione del mondo e dell’esistenza quotidiana: