La sinistra che non c’è e la crisi de Il Manifesto
Antonio Castronovi
È un caso che la crisi de Il Manifesto proceda di pari passo con il declino della sinistra italiana e il rarefarsi e il disintegrarsi della sua identità e cultura politica? È un caso che il giornale perda i suoi ‘lettori’ mentre la sinistra perde i suoi ‘elettori’ e il suo popolo? C’è un rapporto e una logica tra i due eventi? Credo proprio di sì. Una delle cause della crisi de Il Manifesto come giornale e come collettivo politico risiede proprio nel pensare di risolvere la crisi del giornale senza una contemporanea riflessione sul ruolo del giornale e del collettivo politico nel contribuire a dare una risposta alla crisi della sinistra italiana, anche attraverso una battaglia politica chiara e trasparente al suo interno. Credo che di questa omissione siano responsabili un po’ tutti i giornalisti e collaboratori de Il Manifesto.
“E' tutto finito o c'è ancora uno spiraglio per provare a cambiare le cose”, si chiede Valentino Parlato? “Si può rinunciare a un giornale che lotti per l’affermazione di una nuova sinistra autonoma e in grado d’incidere nella realtà del Paese”, oppure “è ora di lasciarlo andare alla sua deriva”, si chiedono altri fra noi ?
Se la sinistra può ri-vivere anche senza Il Manifesto, Il Manifesto non può esistere senza un progetto di sinistra. Il giornale per rilanciarsi ha bisogno di ancorarsi ad un progetto politico, sociale e culturale di rinascita di una teoria e di una prassi di sinistra. Questo è il primo punto. Parlato ha proposto di organizzare quest'autunno, con la Fondazione Pintor, una solenne assemblea al Teatro Valle Occupato per definire un serio programma di sinistra. La proposta va bene, ad una sola condizione: che la sinistra a cui si pensa non sia un bantustan relegato e segregato in qualche Circolo culturale, o la somma della sua attuale classe dirigente, e neppure un programma scritto a più mani, ma sia innanzitutto un movimento collettivo e una nuova esperienza di ri-aggregazione e di ri-fondazione di un popolo di sinistra. In questa rifondazione popolare della sinistra il ruolo degli intellettuali organici, compresi i giornalisti e un giornale come Il Manifesto, sarebbe fondamentale.
Da dove e con chi partire? Questo è il secondo punto dolens. Innanzitutto da una classe dirigente “nuova” che abbia una idea geopolitica del mondo in cui sia possibile la giustizia sociale ed ambientale. In secondo luogo di un “popolo” da ri-organizzare in un movimento collettivo prima e in un partito poi. Una sinistra senza una “classe” sociale di riferimento e senza un “suo” popolo è semplicemente un’aporia.
Sono convinto che l’attuale ‘classe dirigente’ della sinistra tutta, nelle sue varie versioni, sia inadatta ad assumere la guida di un simile progetto. È troppo pervasa d’ideologismo o di tatticismo e politicismo deteriore ed auto referente. Non possiede la vocazione, nè lo spessore politico e culturale per una simile impresa. Pensa alla sinistra come ad un’entità da unire e coalizzare in un campo più o meno largo di forze politiche, piuttosto che ad un popolo disperso da ri-organizzare e con cui condividere una meta e una lunga marcia per raggiungerla. Non riesce a concepire se stessa più lontana dalle più vicine scadenze elettorali. Si considera prima di tutto o come classe dirigente della nazione e delle sue istituzioni, al netto del sistema corruttivo che le pervade, oppure come guardiano e depositario della purezza ideologica originaria del suo messaggio. Ma innanzitutto non si concepisce fondamentalmente come “soggetto organizzatore ed unificatore” di bisogni ed interessi dei più umili ed oppressi o della “classe”, come si diceva una volta. Compito dell’oggi sarebbe quello di trasformare un esercito di lavoratori isolati, precari, disoccupati, frantumati e dispersi in un “popolo”. È l’assenza di questa visione che rende l’attuale classe dirigente di sinistra inadeguata alla scopo, prima ancora della vacuità dei suoi programmi elettorali.
C’è bisogno di un lavacro collettivo che ci mondi dalla contaminazione col profano e col potere che ci ha allontanato dal popolo lavoratore ed umile che soffre i morsi della crisi senza poter fare affidamento su una rappresentanza in cui specchiarsi e sentirsi rassicurato.
Emblematica la discussione in corso nel gruppo dirigente di SEL: fare o no il congresso di SEL in contemporanea con quello del PD, per essere (cito) “un vascello pirata capace di incursioni e di edificare nuove storie, densificando le casematte della propria narrazione. Strutturare una comunità in cammino senza ingessarla nelle pratiche e nelle liturgie autoreferenziali del piccolo partito della sinistra radicale… perché noi, a differenza del radicalismo afono, non prescindiamo dal Pd” (Smeriglio)…Oppure essere “un soggetto politico che lavori all’impresa di puntare alla ricostruzione di un campo largo di centro sinistra che abbia l’obiettivo di produrre una stagione di cambiamento nel nostro paese, e che sappia definitivamente uscire dal grande imbroglio ideologico della sovrapposizione tra (sic!!) riformismo e liberismo” (Fratoianni).
I termini di questo dibattito precongressuale dell’unica forza di sinistra presente nel nostro Parlamento la dice lunga purtroppo sulla sua condizione comatosa e disperata… Nessuna riflessione sul suo misero risultato elettorale..sul fallimento dell’alleanza col PD...sulla fuga degli elettori anche di SEL verso M5S…sulla natura del PD concepito ancora come il principale alleato, che oggi governa con la peggiore destra della storia del nostro paese, per certi versi peggiore pure dello stesso fascismo.
Ci vorrebbe un partito. Ma prima del partito ci vorrebbe un popolo di sinistra da organizzare in un partito..e una classe dirigente degna di questo nome che si metta al servizio di questa impresa.
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