Sintesi degli interventi all'Assemblea del 29 giugno 2013
(pubblicati mano mano che ci pervengono dagli intervenuti)
LUCA MARCANTONIO
è intervenuto come semplice azionista, esprimendo, come già fatto durante l'assemblea della s.p.a., il rammarico per il rischio di dispersione di una storia culturale utile per il paese, il disagio di molti azionisti e sovvenzionatori che sempre più sono restii a dare sostegno economico, insoddisfatti degli esiti dei precedenti sforzi, la personale disponibilità a mettere a disposizione competenze professionali per collaborare alla definizione e attuazione di un nuovo disegno politico-imprenditoriale.La ricerca di convergenza tra le parti in contrasto non ha alternative. Per favorirla sarebbe utile coinvolgere anche persone meno compromesse nel conflitto.
Servono risorse economiche ma anche lettori e partecipanti ad iniziative politico-culturali, gratuite e a pagamento (ad esempio formazione). Per raccogliere questo sostegno non basta cercare pur utili grandi investitori. Si deve tornare a rivolgersi a tutti quelli che possano dare un piccolo contributo. Ma serve un progetto credibile, nel quale i "nomi" storici rappresenterebbero per molti una garanzia e un'attrazione, mentre le attività in programma e lo studio di fattibilità anche giuridico-economica garantirebbero la necessaria concretezza. Questo in discontinuità con prassi che hanno isolato Il Manifesto, in tutte le sue componenti, e quale reazione ad un contesto politico sociale diverso dal passato.
Luca Marcantonio
CLAUDIA GIOFFRE'
Partecipare ad una assemblea nazionale dei circoli, in un periodo i crisi come quello che stiamo attraversando, comporta impegni e sacrifici che si è disposti a fare solo se sostenuti da una forte motivazione politica ed ideale rispetto ad un obiettivo che si ritiene raggiungibile. Temo che dopo la sciagurata vanificazione del risultato dell’assemblea del 4 novembre 2013, che votò quasi unanimità la proprietà collettiva del giornale, questa motivazione è andata scemando con il rischio che a settembre la testata possa finire nelle mani di un editore del tutto estraneo alla nostra storia.
Come tanti altri compagni, pur non condividendone fattura e contenuti, continuo a compare il manifesto, perché penso che la sua morte costituirebbe un ulteriore impoverimento della già “sinistrata” sinistra. La rete dei circoli e la neonata Fondazione Pintor possono opporsi a questa deriva, sapendo che da soli non bastano ad arrestarla. Occorre, quindi, creare condizioni nuove, basate sul coinvolgimento di quelle forze, presenti nella società civile e in quella parte dei partiti e del sindacato, disposte a lavorare alla definizione di un diverso progetto di società basata sugli interessi dei più deboli. Nel mondo, ma anche in Italia, c’è tanta voglia di cambiamento ma i mille rivoli che lo perseguono non riescono a diventare un unico fiume perché manca un chiaro orientamento di classe.
Il manifesto può contribuire a costruire una analisi del mondo che è cambiato a patto che cambi i parametri di riferimento. Se tra i suoi compiti c’è quello di informare su quanto avviene nel “palazzo”, questo non può prevalere su quello di proporre pezzi di programmi, progetti alternativi, alleanze e iniziative, insomma essere un propositivo soggetto politico. La rete dei circoli e la Fondazione, oltre che sedi di dibattito, devono diventare la sponda che raccoglie la forte volontà di cambiamento presente nel paese, si adopera per mettere in relazione le forze che vogliono realizzarlo e devono pretendere che il giornale diventi l’ingranaggio fondamentale di questo processo.
Claudia Gioffrè
NINO LISI
Uno spiraglio di speranza dall’assemblea del 29 giugno - Ho deciso di correre il rischio di venir smentito e di passare per presuntuoso, ma l’incontro di sabato 29 ha dato a mio avviso un risultato positivo che non va disperso. Anche se in pochi rispetto alle aspettative, probabilmente proprio perché in pochi, siamo riusciti/e a tenere da parte diatribe su chi ha più torto e chi ne ha meno ed abbiamo raggiunto con tutte le ineliminabili titubanze alcune conclusioni che io ho percepito così e provo a rilanciare:
Spero di aver capito bene e che si ritrovi lo spirito, la lucidità, la saggezza e la volontà necessarie per uscire dal tunnel. Penso che lo si debba alle migliaia e migliaia di militanti che per quarant’anni hanno sostenuto il manifesto, quotidiano comunista, con passione e sacrifici.
Nino Lisi
ENRICO PUGLIESE
Il manifesto, l’associazione, i compagni.
Parlerò del Manifesto come lettore e come autore rispondendo alle sollecitazioni di Valentino e di Marco Luzzatto. Premetto che sono d’accordo sul fatto che bisogna intervenire e portare avanti un dibattito su temi politici sul sito della Associazione Luigi Pintor e che non sono d’accordo con l’idea di fare una rivista.
Ma comincio dalla situazione del Manifesto. La mia impressione è che il giornale con tutte le sue perdite di autori e compagni autorevoli vada avanti più o meno come prima. D’altronde, con l’eccezione di Angelo Mastrandrea, la direzione e il gruppo effettivo di comando sono gli stessi. Il giornale ha perso poche copie oltre quelle che aveva perso durante la gestione Rangeri prima che venisse dato il benservito a Rossana Rossanda e Valentino Parlato. Nei giorni successivi all’ “uccisione del padre e della madre” molti compagni avevano smesso – sia per sdegno che per valutazione dei contenuti (o dei mancati contenuti) del giornale – di comprare il Manifesto ma poi hanno ripreso farlo . In altri termini – secondo me - il Manifesto non solo è brutto come prima - per le elucubrazioni negriano-postmoderniche di Vecchi e dintorni e per le lenzuolate degli Asor-Rosa e degli altri accademici miei coetanei ( o più maturi) - ma è anche, per così dire, buono come prima. Certe notizie e certi punti di vista si trovano ancora solo sul Manifesto. E’ innegabile. Perciò la gente lo compra. Perciò ci auguriamo che viva. Certo: mancano le inchieste di una volta. Certo: mancano le analisi e i commenti sull’America. E- tanto per restare intorno a questo problema specifico - l’effetto del benservito, per altro sfottente, a D’Eramo si nota anche nel modo in cui vengono trattati alcuni temi. Penso al penoso paginone su Bourdieu di qualche settimana addietro. E tuttavia se in Italia c’è un convegno su Gramsci Il Manifesto è l’unico giornale che ne parla. Salvo poi pubblicare solo l’articolo (per altro nel complesso di ottima qualità) di Losurdo che usa Gramsci per prendersela con i No Tav.
Non è un buon giornale quello che era il nostro giornale. Ma andava già male prima ed ora ha fatto solo un salto verso il peggioramento. Lo so che politicamente ondeggia e che non è stato neanche tanto entusiasta nei confronti di Sandro Medici nella vicenda delle elezioni. Ma è il giornale che ne ha parlato di più. Non è quello di una volta ma anche perché i tempi non sono quelli di una volta. D’altra parte qualche sbandatella politica il giornale la ha avuta anche in passato.
Per quel che riguarda l’oggi e le prospettive la mia impressione è che la Rangeri e I giovani ( e vecchi) turchi che hanno rappresentato la forza d’assalto contro le firme storiche siano convinti di farcela da soli. Il che vuol dire che non ci vogliono. Ciò è evidente non solo dalle risposte della Rangeri, ma anche dal beneducato (e solo sottilmente arrogante) documento del ‘collettivo’ alle amichevoli sollecitazioni di Valentino. Quindi: come si fa a chiedere di lavorare insieme a chi ‘non ti si fila proprio…’ (per dirla con una espressione tecnica)?
Intendiamoci. Io sono convinto che quelli che gestiscono ora il giornale verranno a Canossa più in avanti. E Per Canossa intendo Valentino, qualche circolo più attivo e qualche giornalista più fedele alla memoria o meno indignato. Avranno bisogno di sottoscrizioni e altre forme di aiuto. E forse si renderanno anche conto che le nuove firme sono un po’ poverelle. Ma per ora mi sembra che si ritengano autosufficenti. Per quel che riguarda i collaboratori esterni vecchi e nuovi mi sembra che la gente sia ancora contenta di scrivere. Per di più – mancando nl giornale una guida, un reale collettivo culturale e politico, una tradizione culturale seria (non quella delle pagine della ‘cultura’) ,una sensibilità sociale forte e un orientamento di classe non c’è rischio di confronto. L’intellettuale, l’accademico, il professore che scrive ora sul Manifesto non ha più limiti (neanche nelle dimensioni degli articoli ) alla espressione della propria creatività. Da cui le lenzuolate sui massimi sistemi sempre più presenti. Agli intellettuali di sinistra – si sa - ‘scappa di scrivere’: è uno stimolo al quale non si può resistere. Il giurista, il filosofo, l’economista, lo storico devono dire la loro sui campi loro (e non) altrimenti scoppiano. E allora scrivono e i loro articoli passano. Oddio: passano faut de mieu. Il Manifesto da più di un decennio non è più scuola di giornalismo per i giovani. Questi dovrebbero apprendere dai redattori e dai collaboratori rimasti. E ora c’è davvero poco da apprendere.
Detto per inciso, scriverei anch’io, giacche spesso ‘scappa’ pure a me ogni volta che leggo un articolo fesso sul sindacato o sulla condizione operaia o sul Mezzogiorno o sulla povertà o sulla immigrazione o ancora di più sull’emigrazione ( e ormai anche sul Manifesto ne leggo tanti) . Ma non lo faccio un po’ per solidarietà con i compagni messi in condizione di andarsene un po’ perché sono sicuro che i miei contributi non sarebbero apprezzati da chi governa ora il giornale. E’ una questione di sensibilità politiche, sociali culturali: nulla di personale.
Perciò, tornando a quanto si diceva all’inizio, se il Manifesto dovesse chiudere mi dispiacerebbe come lettore e ancora di più come cittadino. Ma come autore mi sono già messo l’anima in pace. E forse non mi ‘scappa più’ neanche tanto. Non ho alternative ma me ne posso fare una ragione. Non credo che ‘Sbilanciamoci’ – che pure apprezzo molto – sia una valida alternativa. E qui mi sorge una curiosità. Secondo voi Mario Pianta aveva spiegato in giro che – così come ritenuto da molti - il sito di Sbilanciamoci non era da considerare una alternativa al Manifesto – il luogo dove si scrive invece che sul Manifesto - me che invece il giornale è il luogo privilegiato per la ripubblicazione e pre-pubblicazione di pezzi pubblicati (da Pianta e altri) su Sbilanciamoci? Non vorrei che qualcuno fosse caduto nell’equivoco. Ma forse non è importante
In conclusione trovo legittimo aderire (da parte di chi vuole) a una eventuale richiesta di collaborazione proveniente dall’attuale gruppo di controllo del Manifesto per aiutare il giornale a non chiudere. Io personalmente , in un caso del genere, sarei anche contento di riprendere a scrivere, pur sapendo che le mie tematiche non godono di grande apprezzamento. Tuttavia ho chiaro che il Manifesto non potrà più essere il “mio giornale”. E’ stata una bella storia ma ormai è una storia esaurita.
Ma passiamo a chi siamo noi. Siamo pochi. Noi presenti all’assemblea di San Pietro e Paolo non rappresentiamo tutti quelli che se ne sono andati o sono stati cacciati dal Manifesto nell’ultimo anno. Quest’ultimo è un gruppo vasto quanto eterogeneo. E noi ne siamo una piccola parte. Né è da ritenere che ci si possa mettere tutti insieme. Sono diversi gli orientamenti politici, le culture, gli stili, le simpatie e antipatie personali. Si tratta di fattori che in piccole dosi hanno dato –proprio per questa pluralità – forza al Manifesto. Sempre parlando di noi, mi torna in mente la recente rilettura de I miserabili. Noi siamo – si parva licet.. - come i ‘convenzionali’ del ‘92, quelli che impressero la spinta alla rivoluzione e condannarono a morte il re e che poi negli anni Venti (dell’Ottocento) erano vecchi, stanchi e frustrati. Eppure di meriti ne avevano avuto. E le barricate del ’30 dimostrarono che le loro idee non erano andate perdute, che il corso della storia andava avanti, che la restaurazione non poteva cancellare tutto. Ma quei vecchietti sulle barricate del ’30 non c’erano e non potevano esserci. Non so chi ci sia ora da noi sulle barricate ideali. I no Tav? La Fiom ? Noi certamente no. Le rivoluzioni le fanno i giovani.
Credo che anche noi abbiamo tutti qualcosa da dire e soprattutto da imparare. E credo che alcuni di noi siano depositari di una tradizione e di una sensibilità culturale con contenuti che rischiano di disperdersi. Ed è proprio questa dispersione che Rangeri e i giovanotti che hanno preso in mano il giornale volevano, per altro In tutta onestà (oddio: magari forse non proprio ‘tutta’) perché non credono alle stesse cose. E molte le ignorano. Le loro sensibilità culturali e il loro approccio alla politica e alla realtà sono altri.
Se noi vogliamo continuare a essere attivi bisogna che facciamo altre cose . Perciò ben vengano i dibattiti sul sito dell’associazione Pintor. Ed è bene collegarsi ad altri siti attivi e ‘amici’-
Ma quanto all’idea di fare una rivista l’unica cosa che mi viene in mente è che non ci sono né soldi né soldati a sufficienza. Non nego che abbiamo qualcosa da dire ma siamo in pochi e poi tra noi non ci sono giovani. Una rivista bisogna prima farla materialmente (e non è semplice) e poi venderla. Il Manifesto 2 (La Rivista) fu una buona idea e di relativo successo. E fu sbagliato chiuderla. Ma eravamo molto più forti sul piano politico e avevamo un’area di influenza specifica e particolare ( ’i vecchi compagni del Manifesto’) che nel tempo si è assottigliata notevolmente. E quest’area – detto con franchezza - sarebbe l’unica interessata al nostro tipo di approccio. Rispetto a tematiche nuove avremmo invece concorrenza forte e di qualità. Penso all’Internazionale e non solo. Un Manifesto 3 non riesco proprio a vederlo.
Infine c’è un’attività che insieme a compagni e intellettuali dispersi si può e si dovrebbe continuare a fare. Mi riferisco a dibattiti su tematiche urgenti e meno urgenti, a seminari grandi e piccoli, a temi di dibattito che hanno una eco sul Manifesto e su Sbilanciamoci: l’Euro, il reddito di cittadinanza. E poi la vicina Cina: penso alla affollata presentazione del libro di Angela Pascucci anche se l’età media dei presenti non incoraggiava. E infine penso a qualcosa – ne parlava Anna Pizzo – di importante su “Stampa e Potere”.
Insomma c’è da fare e da dire, pur senza una rivista. E quanto al giornale, se son rose…
Enrico Pugliese
MASSIMO ANGRISANO
Il calo della partecipazione all'incontro di oggi non dipende da carenze organizzative. Piuttosto è il risultato della delusione e dello sconforto che ha preso molti compagni dopo la sostanziale vanificazione delle decisioni assunte il 4 ottobre. Anche tra chi aveva una omogeneità sostanziale di opinioni oggi si avvertono segnali di stanchezza e di difficoltà. Molte assenze, quelle dei circoli che si sono impegnati di più fino all'anno scorso, (Bologna, Sardegna, Padova) non sono casuali, ma denotano una scarsa fiducia sulla utilità di questo incontro.
La qualità nella fattura del giornale ha toccato il livello più basso nella storia del manifesto. Una serie di articoli inutili, scritti male, insieme ai contributi apprezzabili di alcuni compagni della redazione che si sforzano di garantire un contributo qualitativamente positivo. In più i collaboratori, che scelgono di inviare i loro pezzi al giornale forse in nome della storia meno recente del giornale e in mancanza di altri spazi. Manca una linea, un filo conduttore che tenga insieme le pagine. Le carenze più significative si avvertono rispetto al sindacato.
Non convince la proposta della rivista mensile, sembra troppo complicata da gestire. In più è altro. Al momento gli unici spazi di discussione sembrano il sito della neonata fondazione Pintor e l'ottima esperienza del manifesto di Bologna. Abbiamo assoluto bisogno di un manifesto che sia strumento di riflessione, inchiesta e mobilitazione per la sinistra dispersa in questo paese.
Replica
Dopo aver ascoltato l'intervento di Tommaso Di Francesco sembra urgente, visto lo spazio inatteso che sembra aprirsi, provare a riprendere le fila del confronto. Probabilmente è complicato, ma è l'unica possibilità per poter ripartire.
Massimo Angrisano
ANNA PIZZO
Il mio non è stato un intervento ma solo una proposta. Poiché mi sembra che la discussione sui torti e le ragioni attorno al manifesto sia a un punto morto (e come avrebbe potuto essere diversamente, dopo quello che è accaduto?) e poiché le proposte avanzate da Valentino sono a mio parere non solo destinate all’insuccesso ma tutte rivolte al passato, a un passato “glorioso” del giornale che non mi sembra in alcun modo riproponibile, ho proposto di guardare oltre e di vedere le molte cose buone che è possibile fare e sulle quali sarebbe interessante impegnarsi proprio a partire dalla Fondazione il cui nome, in qualche modo, è anche un “logo” e con il sostegno dei Circoli e di quell’humus vitale che non è stato spazzato via dalle miserie del presente.
Inoltre, penso che chi per tutta la vita si è occupato di comunicazione (politica, sociale, culturale) sempre con un occhio fuori e oltre, non possa rassegnarsi a guardare il presente con la testa girata all’indietro, tra rimpianti e recriminazioni, ho molto modestamente proposto di mettere a frutto il nome di Luigi Pintor e quello di tutti coloro che hanno voglia di lavorare per capire cosa sia oggi l’”altra” informazione per costruire un evento, un meeting, un grande incontro che metta a tema cosa sia necessario e cosa potrebbe essere importante fare nel mondo della comunicazione per dare voce e sostegno a tutto ciò che oggi si muove anche se magari da altre latitudini e oltre il nostro “cortile”.
Del resto, ho ricordato, un incontro tra chi si occupa di informazione “dal basso” e orizzontale, ed è disposto a impegnarsi per mutare radicalmente l’ottica dalla quale osservare i movimenti e i conflitti, ovunque essi si manifestino, in Europa come a Istanbul, in Egitto come negli Stati uniti, non si verifica più dal tempo della nascita delle radio libere, che fu, a suo modo e mutatis mutandi, una esplosione minore ma comunque in scia con la rivoluzione della rete dei giorni nostri.
Perciò, sarebbe bello pensare che tutti gli addetti ai lavori, gli esperti, i ragionatori e chi è disposto a mettersi in gioco accetti totalmente la sfida che oggi la nuova comunicazione ci impone e si confronti ad un livello che travalica i recinti, le appartenenze, le nostalgie.
Mi rendo conto che lo strappo avvenuto nel manifesto è stato troppo violento e troppo recente per consentire spiragli e non sarò certo io a invocarli, anche perché la mia storia con il giornale che ho creato, inventato e per il quale ho lavorato oltre ogni ragionevole possibilità (Carta) non si è conclusa in modo dissimile da quella del manifesto, come se ci fosse una sorta di “maledizione” sopra le teste di chi per scelta o per “vocazione” prova e provoca il cambiamento.
Tuttavia, se la Fondazione Luigi Pintor se la sentisse di promuovere un meeting, da qui a sei mesi, nel quale far confluire idee, proposte, immaginazione e pratiche di chi questo mestiere si sente di cambiarlo di continuo e di metterlo in discussione per far sì che divenga interamente strumento dell’altra politica, io ci lavorerei molto e molto volentieri. E come me, credo, molti altri. Credo che ce ne sia molto bisogno e che la vocazione migliore della Fondazione e di Luigi Pintor sia proprio questa.
Anna Pizzo
TOMMASO DI FRANCESCO
La mia presenza e il mio intervento a questa riunione dei Circoli e della Fondazione Pintor vogliono confermare che il manifesto è aperto a tutti i compagni/e che lo hanno lasciato, ai quali chiedo di tornare a scrivere, e che l’intenzione diffusa nella redazione è quella di contribuire ad uno sforzo unitario per salvaguardare la preziosa testata che a settembre i liquidatori metteranno in vendita. Voglio anche cercare di dissipare gli ultimi equivoci sulle risposte, di Norma a Rossana e del collettivo a Valentino. Norma ha ribadito all’intervista a la Repubblica di Rossana quel che io considero vero, che nessuno l’ha cacciata. Ma nelle parole di Rossana c’era di più: il riproporre i temi fondativi delle contraddizioni tra noi, i terreni non dissodati; e insieme un grido di dolore sui fallimenti che ci riguarda direttamente e che mi emoziona e mi chiama in causa.
Troppo poco abbiamo riflettuto su quello che è accaduto con la scelta della liquidazione coatta amministrativa (Lca): finiva l’esperienza del “manifesto reale” - quello fin lì realizzato - quando si concludeva, come preconizzato già nel 2003 da Pintor, la rendita di una sinistra politica ancorata all’originale esperienza comunista e di classe italiana. Quel comunismo possibile oggi è disseminato dentro la crisi in corso del sistema capitalistico-finanziario mondiale, anche nelle pieghe del belpaese ed è tutto da inventariare, conoscere, raccontare.
E si entrava con la Lca purtroppo in una zona di precipizio e buio. Con il senno di poi sono convinto che quella scelta non sia stata la migliore, essa apriva di fatto il conflitto fra di noi, con una guerra di accuse sulle responsabilità del fallimento economico che è bene ricordare appartengono, come indebitamento, al periodo della vacche grasse del giornale non certo all’ultima direzione votata dal collettivo ancora unitario. Così seppellendo ogni solidarietà. Dichiaravamo che avremmo fatta la scelta di auto-liquidarci a condizione di essere capaci, restando uniti, di approntare un nuovo senso all’iniziativa cominciata nel 1971 e l’abbiamo invece accettata senza rispondere a nulla, pure divisi.
Oggi ci troviamo di fronte ad una occasione di necessità che potrebbe diventare virtù. Mettere in sicurezza, insieme, la testata il manifesto.
Non sparerei poi sull’attuale giornale, anche se i suoi limiti sono evidenti. E’ stato detto che è un’accozzaglia di posizioni (ma lo è stato per molte stagioni). Esce tutti i giorni però e porta ancora in ditta la scritta “quotidiano comunista”. E’ meglio che il manifesto ci sia, invece che niente, che si opponga alla scellerata riedizione presidenziale del “compromesso storico”, che denunci le spese militari e le ultime guerre, che dia voce al conflitto sociale e alla Fiom, che si attivi a sostegno delle nuove leadership dal basso nei Comuni, che faccia della lotta per i beni comuni non una stanca riedizione di puzza ideologica, che dia la parola... (che ci sia perfino una edizione Ipad). Dentro una crisi - e questo è un motivo in più per tornare ad un lavoro comune - che mostra tratti nemmeno accennati al tempo delle nostre contrapposizioni. Solo per accenni e in elenco: la superfetazione del fenomeno Movimento 5 Stelle, il governo unitario Letta-Berlusconi, l’ulteriore aggravamento della crisi che nasconde differenze sociali e responsabilità. Con l’emergere anche di preziose novità nelle nuove lotte operaie, come all’Ilva di Taranto dove, tra settori operai avanzati e popolazione, in un luogo e in un tempo che invece di produrre distrugge ricchezza, salute e vita delle persone, avanzano la proposta di un controllo operaio partecipato.
Non restiamo immobili e impotenti a guardare le nostre contrapposizioni, sapere chi ha cominciato potrebbe essere alla fine davvero inutile e poi…non è forse vero che la storia del manifesto è la storia delle sue crisi?
Tommaso Di Francesco
GIANNI FERRARA
Credo che si debba prendere atto della scarsa affluenza a questa assemblea, assolutamente incomparabile rispetto a quella svoltasi in questa stessa sala nel novembre scorso. Non è l’unico dato negativo. Va aggiunto quello della risposta data dal collettivo alla lettera di Valentino a Norma Rangeri. Risposta che ritengo inqualificabile e che va respinta con sdegno. Ma anche con sgomento per la presunzione iattante con cui si conclude.
La risposta del collettivo però confessa il fallimento della sottoscrizione che la cooperativa aveva promosso. La presenza di oggi a questa nostra riunione del compagno Tommaso De Francesco non credo che sia casuale. Penso allora che potremmo sfidare noi stessi, il nostro senso di responsabilità, tendendolo al massimo. Chissà. La testata è patrimonio comune, comune dovrebbe essere l’interesse, il bisogno, il dovere di non farla cadere in mani che nulla hanno a che fare con la storia e l’identità de “il manifesto”. A quella risposta indegna a Valentino replichiamo lanciando un’offensiva unitaria. Nelle forme e nei modi adeguati se ne sarà colto l’intento.
Gianni Ferrara.
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