La notizia sei tu ma manca un pezzo
Riccardo Barenghi
Caro Luigi, ti scrivo queste righe oggi che è il quattordici maggio, un mercoledì, tu non le leggerai né oggi né mai tuttavia te le scrivo lo stesso. Altri le leggeranno, le leggeranno quando usciranno sul tuo giornale che quel giorno il giornale sarà proprio tutto tuo. Non ti preoccupare, le notizie del giorno non mancheranno ma verranno dopo di te di qualsiasi genere o valore esse siano. Lo so, è sbagliato, avresti voluto un semplice fogliettone, quarantacinque righe e fine del discorso. Non ti abbiamo dato retta, stavolta. La notizia, diciamo così, per noi sei tu.
E’ da parecchio che lo sei, diciamo dalla pasqua scorsa. Non hai idea di come stia vivendo il giornale, la tua catacomba soleggiata, si trascina dalla mattina alla sera come sospeso nel vuoto. Ti ricordi? parlavamo del mondo e lo vedevamo appunto sospeso in attesa che scoppiasse la guerra all’Iraq. E il manifesto oggi è un po’ come il mondo di qualche mese fa. Ma stai tranquillo, là fuori non se ne accorge nessuno, siamo mestieranti che sanno nascondere i sentimenti (fino a un certo punto, forse qualcuno più sensibile di altri se n’è anche accorto). Comunque, continuiamo a occuparci di quel che accade e c’è poco da divertirsi con Berlusconi che fra un po’ ci mette tutti in galera, la sinistra morta che non reagisce ma fa finta di reagire, bombe che scoppiano qua e là, le elezioni amministrative, il referendum, due treni che si scontrano alla stazione Tiburtina. Il mondo va avanti, lo sai com’è fatto male il mondo: non ti è mai piaciuto. Scusa, ho sbagliato, avrei dovuto dire che il mondo va indietro. Così forse ti piace di più.
Ma il mondo, dicevamo, oggi è il manifesto. Da quando hai saputo di stare male e noi con te, facciamo le stesse cose di prima ma come se ognuno di noi fosse due persone in un corpo unico. Per me almeno è così, ogni tanto scrivo un articoletto tanto per tenermi in esercizio e poi perché il mondo va indietro e a un giornale gli tocca starci, nel mondo. Ma per il resto non c’è resto. Penso a questi miei ventitre anni di vita qui dentro e ti rivedo quando ero un ragazzino al quale avevano detto di non perdersi le riunioni di redazione e il momento dei titoli la sera, «quelli che fa Pintor». Non me li sono persi. Penso anche a quando ancora passavi i pezzi di cronaca, almeno quando andavano in prima. Un onore, se capitava, ma anche un timore. Ho imparato da te a togliere quel che non serve, perfino le virgole, e a cogliere la sensibilità delle persone. Per restituirgliela e farli sentire a casa loro quando aprono il giornale.
Questo tuo giornale oggi sta facendo lo sforzo più grande della sua vita, altro che le crisi economiche, il baratro della chiusura, le sottoscrizioni, l’edizione a cinquantamila lire (c’erano ancora le lire), quando ti sottoponesti a un’intera trasmissione televisiva, tu che odi la televisione, pur di salvare il manfesto. Oggi, e dico proprio oggi mercoledì quattordici maggio che sei ancora vivo ma non ci sei già più, è un’altra cosa, una sfida più difficile da superare. Figuriamoci domani.
Ma poi perché la dobbiamo superare, che cosa dobbiamo superare? Andremo avanti finché potremo o vorremo, speriamo per anni o decenni. Senza superare niente e nessuno. Tu continuerai a darci una mano per interposte persone che poi siamo quelli che il manfesto lo producono e quelli che lo leggono. Mancheranno i tuoi pezzi (già mancano) e soprattutto mancherai tu (non sai quanto manchi).
Ciao ciao, che succede, vengo subito di là. Non succede niente oppure succede di tutto ma leggi pure i giornali, ci vediamo tra un po’. E poi la riunione di redazione, Luigi che dici di questo? Niente, non dico niente. Oppure dicevi, magari ti incazzavi, a volte ti rassegnavi, guardavi l’orologio e te ne andavi a pranzo a casa. Gesto con la mano a dire ci vediamo dopo. Scrivi? Forse ma non ci contare. Oppure, no no, su questo non scrivo, cosa vuoi che scriva? Andrò al cinema. E invece, magari alle sette della sera, dettavi il tuo pezzo.
In questi giorni, caro Luigi, la notizia della tua malattia (tu l’avresti chiamata col suo brutto nome, cancro) si è sparsa, sai come sono le notizie specialmente quelle cattive. Nessun giornale ne ha parlato, ovviamente, ma molti amici e compagni hanno telefonato, sono anche venuti qui. Alcuni di loro che lavorano in altri giornali ma prima erano del manifesto hanno avuto lo sgradevole incarico (così mi hanno detto) di scrivere in anticipo il tuo necrologio, il cosiddetto coccodrillo. Lo hanno scritto piangendo lacrime vere, non sono coccodrilli. Io invece non piango quando scrivo, sarà per questo che in questi giorni scrivo più spesso. Mi tocca pure organizzare il tuo funerale, forse te lo faremo in quella piazzetta che ti piaceva tanto dove andammo una sera a cena, sai quella col nome che ricorda una fata, o forse no, anzi pare proprio di no, lo faremo in piazza Farnese perché se no rischiamo di non starci. Tu che ne pensi? Fregatene, mi risponderesti. Purtroppo non posso.
Oggi Simonetta Fiori ha scritto un bellissimo articolo a proposito del tuo libro che sta per uscire. Dicevi che non ti piaceva, non sono d’accordo. L’ho letto di notte e ho pensato a quanti di quei pensieri ci avevi raccontato mentre aspettavamo che ci venisse l’idea del titolo di prima pagina. La storia dei suicidi per esempio, ricordo una divertente discussione su quale fosse il modo migliore per togliersi di mezzo. Ho visto che sei rimasto della tua opinione, un tuffo nel profondo del mare.
Mi dispiace che ti perderai la guerra cino-americana del 2010, caro Luigi, mi dispiace perché ci tenevi. Tuttavia ti confesserò che anche noi speriamo di perdercela, ne hai azzeccate tante che se pure sbagli questa previsione (o preferisci profezia?) non ti arrabbierai. Così potremo continuare a far uscire il manifesto che, come tutti i giornali, verso mezzogiorno servirà ad incartare quelle patate che a te piacciono tanto cucinate al verde
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