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PINTOR, CERCATE ANCORA

Pietro Ingrao 

 

 

 

Cercate ancora.

Adesso proceda il lavoro della memoria. Lunedì, in quella assorta e stupenda piazza romana - segnata dalle luci miti che accompagnavano il lungo crepuscolo di maggio - è cominciato il rito - disperato e vitale - del ricordo, l'ansia di evocare ciò che con Luigi Pintor, con quell'uomo, con quel compagno se ne andava, o invece proseguiva. E nelle parole dette c'erano - insieme - l'antica usanza umana di salutare la cupa morte, e l'ansia di salvare quella vita che si era spenta con il recupero della memoria: quella vita prorompente, impetuosa - e così inquieta sempre - che era stata di Luigi Pintor: nel tumulto del secolo sanguinoso e delle nostre speranze sconfitte.

 

         


E nella grande commozione e anche nelle lacrime e negli applausi di quella piazza romana chi di noi non andava col pensiero a quell'ostinato silenzio di lui, costretto nella bara?

Infine ci sono stati gli abbracci che seguono al rito: a Isabella prima di tutti. La piazza faticava a svuotarsi, come se ognuno esitasse a separarsi, o aprisse i polmoni al soffio vespertino di quel tramonto romano ancora incantevole.

Adesso - da domani - c'è da pensare, con il metodo necessario, come la memoria si mette all'opera e tenta la sua rivincita sulla morte. Luigi - questa è la mia convinzione - diversamente dalle apparenze non era per nulla lineare. E usava anche diversi linguaggi: non solo quello dell'articolo icastico e dell'invettiva. Aveva un gusto del rimembrare che però non era mai solo ricordo di un accaduto: esso si univa clamorosamente a brani di affermazione apodittica, a sentenze brucianti e allusive, e infine a una lettura del mondo amarissima, in certi momenti anche cupa. 

 

        

Non è semplice ricostruire come questo suo fondo apocalittico si fondesse con quella passione così attuale, con quel guizzo dell'intervento immediato e dello stare in campo, che lo rendeva disponibile - così mi sembrava - anche all'ultim'ora, quasi ancora al momento di chiudere il giornale. Come si combinavano quella riflessione generale sull'esistere e la passione dell'intervento bruciante sulla vicenda quotidiana?

Infine Luigi è parte di una speciale storia italiana, per un verso anche ostinatamente "sarda" (con i suoi cieli, i suoi profumi) che si è intrecciata, anzi è stata obbligata a intrecciarsi con una tragica vicenda: europea prima, e poi addirittura mondiale. Oggi la dimensione globale (questa parola) è diventata addirittura ovvia, e la guerra torna a rifulgere nel mondo come quando Luigi si fece partigiano. Che è diventata la politica, quella che prese Luigi quasi da ragazzo?

E che significa il corso di quest'Italia, crollata nella miseria berlusconiana e insieme ancora segnata da un comunismo "strano", che in questo giornale è cocciutamente sopravvissuto ad una sconfitta storica mondiale?

  

E che sono e furono questi gruppi di intellettuali italiani, all'inizio addirittura allevati sotto la chioccia togliattiana (ma togliattiano - penso io - Luigi, diversamente da altri di noi, proprio non lo fu mai...).

E in ogni modo come nacque, continuò e poi però si restrinse quella eresia "comunista" che agisce ostinata ancora oggi - a volte anche duramente faziosa - nel "Manifesto", con quell'intreccio di pessimismo e di fierezza indomata, che in Luigi erano cosi' strettamente congiunti? E che pezzo d'Europa e d'Italia essa oggi rappresenta?

Qui davvero tornano forse, anche la figura del fratello di Luigi, Giaime (su cui in questi mesi sono state scritte parecchie scemenze e grettezze), e il rapporto con la vicenda della cultura europea novecentesca: delle sue scalate al cielo, dei suoi ardimenti e delle sue pesanti prove e sconfitte.

Dunque memoria, ricerca laica: che non si fa fermare dalla morte. E - insieme con i segni e i riti del lutto - subito avanzano le nuove domande sulla vita, e quindi sull'oggi e sul futuro. Secondo quel motto immortale che dice: cercate ancora.



 



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