di Nino Lisi - 24 ottobre 2013
Per rispondere all’interrogativo di Valentino, se è morto o meno il comunismo, dovremmo forse preliminar-mente decidere cos’è che intendiamo per comunismo. Una ideologia, l’idea di un progetto di società in sé compiuto, un modello predefinito da realizzare? o un’idea di cambiamento della società e di come e perché cambiarla, partendo da un’analisi delle realtà basata sulla lezione marxiana?
Nel primo caso mi sembra che si possa darne per quasi certa la morte.
A preparare questo esito infausto hanno dato un contributo rilevante quelli che Valentino chiama tracollo dell’Urss e fallimento dello Stalinismo, nonché i costi umani delle trasformazioni avvenute nei paesi dove un regime comunista si è realizzato, come in Cina ed a Cuba, essendo stati bravissimi gli avversari del comunismo a mettere in evidenza errori ed orrori delle diverse esperienze realizzate, mentre i suoi sostenitori e i suoi non-avversari sono stati incapaci di far presente, ad esempio, che nell’Urss <anche ai tempi di Stalin, più gente stava un po' meglio di oggi>.
E però un’analisi puntuale delle cause del (quasi certo) decesso non mi sembra che sia stata sufficientemente svolta. Avanzo l’ipotesi che la causa principale sia stata quella degenerazione sulla quale si è appuntata la fondamentale critica del gruppo del manifesto e che indusse successivamente Enrico Berlinguer a pronunciare la famosa dichiarazione dell’esaurimento della spinta propulsiva. Posto che l’ipotesi regga, servirebbe tantissimo ricercare quanto a determinare quella degenerazione abbiano influito fattori intrinseci, cioè derivanti dallo stesso impianto teorico, quanto abbiano giocato elementi legati ai contesti storico-culturali e allo stadio di sviluppo dei singoli paesi nei quali le diverse esperienze sono state condotte e quanto le dinamiche interne al complesso delle forze rivoluzionarie e ai loro scontri per il potere.
Ciò per evitare di buttare tutto a mare, come, giustamente a mio avviso, Valentino raccomanda di non fare, e recuperare quanto in quelle esperienze c’è stato di valido, ben sapendo che in natura come nella storia la vita può anche nascere dalla morte.
Nel secondo caso, invece, penso che si possa dare per quasi certo che il comunismo non è ancora morto, ma rischia però di morire se proprio quanti non vorrebbero constatarne la morte (ed io sono tra loro) invece di cercare di capire se e come si può uscire dal capitalismo – non in un futuro indeterminato, ma cominciando da ora a provarci - continueranno a domandarsi come si possa uscire dalla crisi del capitalismo, ovvero come si potrebbe aiutare il capitalismo ad uscire dalla sua crisi. Danno per scontato che quella in atto sia appunto la crisi del capitalismo e nemmeno si domandano se per caso non siamo al cospetto non della crisi ma del trionfo del capitalismo e che la crisi in atto altro non sia che il risultato di un furioso processo che sta sconvolgendo gli equilibri ambientali e depauperando fortemente intere classi sociali ed interi popoli, messo in atto dal capitale per garantire la propria valorizzazione a livelli sinora inediti. Eppure non manca chi lo ha spiegato con chiarezza. Bruno Amoroso ha avvertito che «Siamo di fronte a una crisi economica e sociale provocata dal modo in cui la finanza ha espropriato a livello mondiale i risparmi di milioni di persone> e che <gli autori di questo colossale furto non sono in fuga, ma sono alla testa di tutte le istituzioni nazionali e internazionali che controllano e dovrebbero regolare la finanza>. E questo costringe il mondo della politica e gli stati a gestire una situazione di fatto ingovernabile»; l’economista americano James Galbraith ha definito quel che è successo dal 2008 a oggi <la più gigantesca truffa della storia> e Susan George ha informato che <ci sono 10 milioni di ricchissimi nel mondo che possiedono 42,7 triliardi di dollari: 427 seguito da undici zeri!»; si sa che in Italia il 10% dei suoi abitanti possiede quasi il 50% della ricchezza nazionale.
Altro che crisi, dunque: il capitalismo, inteso come sistema che mira alla massima valorizzazione del capitale, gode ottima saluta e la crisi non è sua, ma tutta e solo nostra. Quindi il tema che ci si pone è come noi possiamo uscire dalla nostra crisi, tenendo ben conto che il capitalismo è il problema, non la soluzione.
Che fare? Potremmo riprendere i temi di un documento elaborato nel 1993 per la Convenzione per l’Alternativa (chi ha buona memoria ne avrà ricordo) da un gruppo di lavoro nel quale tra gli altri c’eravamo Ivano di Cerbo ed io. Vi si delineava la prospettiva di una coesistenza competitiva tra due sistemi di produzione e di consumo, affiancando a quello capitalistico, basato sulla ottimizzazione del profitto, un altro basato sulla ottimizzazione del lavoro. Questa prospettiva è emersa anche di recente in un seminario tenutosi al Cnel il 28 gennaio di questa anno, dove si è discusso della creazione di nuove forme di organizzazione economico sociale da mettere a sistema insieme a forme di imprese già esistenti ed operanti, quelle denominate sociali, quelle che secondo la denominazione di alcuni costituirebbero il “capitalismo molecolare” ma che di capitalistico hanno poco o nulla, quelle che fanno capo, secondo la definizione di Detragiache, all’imprenditorialità popolare.
Intorno a questa prospettiva potrebbe ricostruirsi un pensiero di sinistra, e si potrebbero mobilitare energie per una nuova politica economica.
Non è cosa da poco, ma non è impossibile riprendere la lezione marziana ed applicarla alle società d’oggi, alle condizioni del nostro paese e dell’Europa chiedendosi cosa significhi e comporti essere comunisti oggi.
Questo fu il tema di un seminario che Ivano organizzò da segretario regionale del Pdup in anni lontani. Potrebbe riprovarci di nuovo, perché da allora molti cambiamenti sono intervenuti ma il bisogno di cambiamento è ancora presente. Anzi è maggiore. Il manifesto stesso, quotidiano comunista, potrebbe giocare in una operazione del genere un ruolo importante.
Nino Lisi
Gli altri interventi su E' davvero finito il comunismo?
© 2013-2017 FondazioneLuigiPintor
tutti i diritti riservati
CF: 97744730587 – P.IVA: 12351251009