C'E' UN COMUNISMO NEL NOSTRO FUTURO?
Rocco Pellegrini
Caro Valentino,
fin da quando ho letto il tuo articolo su E' davvero finito il comunismo? mi son promesso di intervenire pubblicamente sia perché l'argomento è intrigante ed in qualche modo viene posto anche dal libro di Castellina, Crucianelli e Garcia "Per un altro comunismo" che racchiude una lunga intervista al compianto Lucio Magri, sia perché autonomamente, riflettendo su questa epoca così tragica ed entusiasmante al tempo stesso, mi sono posto più volte questa domanda ed ho, dunque, riflettuto, interiormente e con qualche amico, sull'argomento prima che tu lo ponessi alla riflessione collettiva. Spero di non essere il solo a seguire questa strada da te tracciata e mi piacerebbe che tanti altri compagni e non intervenissero sul tema...
Entro, dunque, senza indugi nel merito che l'argomento lo merita.
Secondo me il comunismo, politicamente parlando, è morto da tempo e non potrà rinascere, con quel nome, quei simboli e quella tradizione che conosciamo perché è stato sconfitto nella storia dai risultati della sua pratica attuazione. Tu stesso sembri rendertene conto quando dici "Su questo giudizio pesa molto l'89 e il tracollo dell'URSS. Il comunismo ha prodotto solo stalinismo, che è fallito pure lui". Tutti ricordiamo le manifestazioni di massa che seppellirono il "comunismo reale" laddove si realizzò e sappiamo anche che i grandi partiti europei che da quella tradizione derivarono sparirono molto rapidamente nelle libere elezioni in tutta europa. Laddove come in Italia questo non accadde il partito comunista dovette cambiar nome e simboli arrivando fino al punto, che si sta consumando proprio in questi giorni, che la sua classe dirigente sta perdendo centralità e controllo anche nel PD, fin qui in qualche modo dominato, lasciando spazio a Renzi che certo quella tradizione non rappresenta né sostiene. Non parliamo, poi, di quella parte di compagni che si oppose al cambiamento del nome e alla rottura con la storia. L'esperienza di Rifondazione Comunista e di ciò che ne deriva è marcata da una marginalità che è sotto gli occhi di tutti.
Se siamo onesti dobbiamo dire che chi si è presentato da solo, senza un raccordo col PD, semplicemente è rimasto fuori dal parlamento e questo la dice lunga sulla scarsa significanza di quest'aria nella politica del nostro paese.
Dunque sarebbe velleitario cercar di risuscitare ciò che è morto.
Però, c'è un però...
Ed è proprio su questo che mi voglio concentrare nella seconda e breve parte di questo mio intervento.
Il mondo moderno, il mondo di oggi quello che viviamo e nel quale dobbiamo prendere le nostre decisioni e condurre la nostra esistenza non è certamente un mondo idilliaco o un mondo pacificato. Lo sviluppo capitalistico, nella sua fase matura, si manifesta come aumento dell'esclusione e della diseguaglianza e lungi dall'aver realizzato una società inclusiva e solidale sembra accentuare sempre più l'esclusione della gran massa dei cittadini dai processi produttivi e da una certa solidità di reddito.
Grandi cose sono avvenute negli ultimi 20 anni della storia umana e, per sintetizzare al massimo che non voglio essere prolisso, la rete Internet è certamente l'evento più grande ed innovativo. Il mondo, dopo il crollo del muro di Berlino, è divenuto piatto, come risultato di quel processo che noi chiamiamo globalizzazione. Può piacere o non piacere ma questo gusto non ha alcuna rilevanza politica: le cose sono andate così. Punto e basta. E' in corso, ormai da anni, una gigantesca ridistribuzione di reddito e produzione come dimostra l'andamento del prodotto interno lordo nel 2011.
Tutto questo quadro, la comprensione del quale sarebbe bene fosse condivisa (oggi a sinistra non lo è), è spinto dal vento dell'innovazione tecnologica. Questo vento è impetuoso, ogni giorno più forte, decisivo per la ricchezza o la povertà dei popoli.
Il processo, sommariamente descritto, ad oggi appare come qualcosa di esclusivo e non di inclusivo. Il successo del capitalismo nella storia umana si deve al fatto che ha sempre incluso, generando lavoro, occupazione.
Oggi questa "virtù" sembra saltata, completamente. I ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Ed i poveri minacciati in quel poco che hanno dalle macchine incombenti.
Dunque se non si vuole andare a finire in un mondo alla Blade Runner, nel quale masse di diseredati confinate in lager moderni minacciano un mondo ricco da cui sono escluse, si pone, si porrà sempre di più, man mano che il processo descritto avanza, trovare forme di socializzazione della ricchezza che garantisca ai cittadini esclusi dai processi produttivi una vita civile e dignitosa.
Questa è la vera partita, a mio modesto parere, in cui si riconfigurerà una sinistra moderna, non più attaccata ai simboli del passato ma sempre radicata nell'egualitarismo e nella difesa della parte debole del paese e del mondo.
C'è bisogno di un profondo processo innovativo di comprensione da un lato e di critica dall'altro del mondo moderno che superi le secche analitiche e l'impotenza politica che ci hanno spinto nelle difficoltà che viviamo.
La tradizione del Manifesto che è sempre stata una tradizione di cultura e ricerca applicata alla società potrebbe, dovrebbe dare un contributo notevole.
Come fare questo esula da questo pezzo ed è frutto di un'intelligenza collettiva vasta cui parteciperò volentieri, qualora si dovesse attivare, ma già essere d'accordo su quanto detto qui ne porrebbe le premesse indispensabili.
Rocco Pellegrini - Roma 4 ottobre 2013
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