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1971: 1.622.601 infortuni sul lavoro, 4.674 morti.

Non c'è nulla di più "imbarazzante" di questa sfilza di cifre, di queste statistiche annuali. Per uscire dall'imbarazzo e cercare di renderle meno "aride" (come si dice), uno le "disaggrega" (come si dice): e allora vien fuori che ci sono 4500 infortuni sul lavoro ogni giorno, ossia che ce n'è uno ogni 20 secondi, e che qualcuno muore sul lavoro o di lavoro ogni 2 ore.

Non è una novità, ogni anno è la stessa cosa, con sottili variazioni in più o in meno, sulle quali l'Inail, gli esperti in scienze statistiche e i sociologi si sbizzarriscono. Segue la coda delle malattie professionali.

Ma se ogni giorno dodici operai muoiono sul lavoro, com'è che non se ne ha notizia ogni giorno?

Questo è il particolare più "interessante" di tutti. Non sono solo i "grandi numeri", il bilancio annuale del macello industriale, a lasciare indifferenti (come il tonnellaggio delle bombe Usa in Vietnam). E' anche la morte quotidiana. Qualche volta filtra, ma in generale non se ne sa niente: la morte fisica di un operaio fa meno notizia, sui giornali, di un alterco in una osteria, i suoi resti finiscono come una bottiglia vuota nel secchio della spazzatura.

Il giornale di Agnelli, poi, non dà neanche le statistiche. Metà della sua prima pagina era impegnata ieri a far indignare i lettori contro la pirateria aerea, che fa tanto più notizia della pirateria terrestre dell'industria moderna, anche se fa senza dubbio meno morti. La prima infatti è anomala, viola le regole della convivenza e la sicurezza di tutti, e perciò fa sensazione. La seconda invece è normale, conferma le regole dello sfruttamento e della sicurezza di tutti meno che degli operai, e perciò lascia tutti indifferenti.

 

1 novembre 1972

 



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