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E' FACILE

MORIRE 

A NAPOLI 

 

 

 

 

 

La cosa più grave, forse, non è che due studenti siano colpiti a morte alla forza pubblica nel giro di pochi gior­ni, nel corso di normali manifestazioni. La cosa più grave è la sostanziale, dif­fusa, quasi naturale indifferenza che accompagna questi crimini, anzi questi  que­sti « incìdenti », che pure non hanno riscontro in nessun altro paese euro­peo. Anche nei paesi fascisti mediter­ranei, infatti, gli studenti si processa­no, ma non si fucilano senza processo davanti a una università o a un ufficio postale.

Tutti finiamo con l’essere, anche senza accorgercene, contagiati o sopraffatti da questa indifferenza. Anche noi, che in questo momento non riusciamo nep­pure a sapere con precisione come sta tl ragazzo colpito a Napoli, se la sua agonia è senza speranza. Anche gli stu­denti, che sentono a volte bruciare di più altre offese, che non la vita stron­cata di un loro compagno. Cosi l’av­versario, la sua ideologia manipolatri­ce e disumana, consuma la sua vittoria più grande.

Non è neppure un caso che la sorte toc­cata al giovane Caporale sia la più  buia, la più solitaria di tutte. Nessuno si è occupato di sapere chi fosse, chi sia, che cosa facesse e pensasse. La sua è una famiglia modesta, perciò le sarà più difficile parlare e protestare, e più facile sarà per gii altri ignorarla. E poi si tratta di Napoli. Sono passati da molto i tempi in cui le malefatte dei poteri pubblici nel Mezzogiorno, spe­cie quando correva il sangue, suscitava­no un massimo di indignazione nel mo­vimento popolare, proprio perché si sommavano alla condizione di storica inferiorità e di maggior miseria di quelle  regioni, e apparivano perciò doppia­mente infami. Ora succede il contrario.

Col mostruoso esodo forzato di grandi masse meridionali in questi anni, un tale accumulo di nuove miserie, nuovi squilibri, nuovo trasformismo si è ri­versato nel sud, che uno studente mor­to ammazzato è un’inezia. Il sangue contadino di vent anni fa è bastato per saturare la sensibilità dei mendionalisti dei partiti operai, dei vecchi retori comunisti  e socialisti dei movimenti di « rinascita ». Ma perché allora ci si sorprende, caro compagno Amendola, se poi è la demagogia fascista a colma­re questo vuoto di coscienza? 

Si fa un grande uso di concetti astratti e di ideologismi, violenza, estremismo, spirali dell’una e dell’altro, etichette e formule, metodologia della politica e sociologia della polizia. Così la politica diventa metafisica, un gioco retorico separato dalla realtà. Non è stato cosi per Pinelli, forse? Ma già per lo stu­dente di Milano, la tragica realtà di un colpo alla nuca è sfumata come una ba­nalità. rispetto ai maltrattamenti subi­ti da un rettore. Per lo studente di Na­poli, non fa notizia neppure se sia vivo o morto, conta più stabilire che a spaccargli la testa è stato un fìgfin del popolo.

Offuscando la coscienza popolare questo terreno, come capacità di rea­gire con partecipazione e solidarietà profonda a tutto quanto i potenti fan­no subire ai più deboli, alle classi subal­terne o a singoli compagni in carne ed ossa, l’avversario può ben rallegrarsi. Si capisce, in questo clima annebbiato, che nessuno parli più del disarmo della polizia. Si capisce che nessuno batta più ciglio se si spostano i magistrati anco­ra incorrotti come burattini. Si capisce il generale spostamento a destra venato di qualunquismo. Si capisce perfino che il più forte partito del movimento ope­raio attribuisca questo spostamento alle cause più strane, meno che alla propria confusione.

 

 

(27 febbraio 1973)

 

 

Note


Il 21 febbraio 1973 a Napoli, durante un  corteo studentesco contro la legge sul fermo di polizia, gli agenti  caricano  selvaggiamente i dimostranti e riducono in fin di vita Vincenzo Caporale, 19 anni, sembra con un colpo di moschetto alla nuca o un candelotto. Nel corso della stessa manifestazione viene ferito gravemente anche un altro ragazzo. 

 



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