PER CUBA E' L'ORA DELLA VERITA'
Hasta siempre Fidel. Il quindicennio progressista latinoamericano si sta infatti chiudendo con il ritorno delle destre al potere
di Aldo Garzia - 27 novembre 2016
Per Cuba è l’ora della verità. Da molti anni gli osservatori di vicende cubane si chiedevano cosa sarebbe accaduto nell’isola al momento dell’annuncio della morte di Fidel Castro. Dopo tante notizie smentite che contribuivano al mito del comandante en jefe, non ha colto di sorpresa la sua scomparsa a novant’anni suonati festeggiati lo scorso agosto.
L’annuncio è stato dato da Raúl Castro poco dopo il decesso con un breve e sobrio comunicato letto in televisione: dunque, nessuna strategia di gestione manovrata dell’evento.
La televisione cubana per tutta giornata di ieri ha alternato documentari d’epoca a notizie sulle reazioni interne e internazionali fornendo le immagini della camera ardente È prevista una grande manifestazione il 29 novembre a piazza della Rivoluzione, luogo simbolo delle grandi manifestazioni rivoluzionarie. Poi una carovana funebre attraverserà l’isola da L’Avana a Santiago, dove si terranno i funerali il 4 dicembre presso il cimitero di Santa Ifigenia che ospita la salma di José Martí, padre della patria della Cuba postcoloniale. Il corpo sarà cremato per volontà dello stesso Fidel, non si prevedono mausolei in stile sovietico.
Come reagiranno Cuba e i cubani che vivono nell’isola è la domanda di queste ore. Il momento è quello per l’appunto della verità. In gioco è il lascito della rivoluzione del 1959: prevarrà chi la ritiene un incidente della storia da cancellare d’un tratto o chi pensa, pur tra errori e molti limiti, che questi cinquantasette anni non sono da buttare nel cestino? E come agirà la nuova Amministrazione in fieri di Donald Trump non è interrogativo di poco conto. Certo, la morte di Fidel cade in una congiuntura sfavorevole per Cuba non solo per quanto accade a Washington: in America latina soffia forte un vento di restaurazione, come dimostra ciò che è accaduto in Brasile e Argentina. Il quindicennio progressista latinoamericano si sta infatti chiudendo con il ritorno delle destre al potere.
Nell’immediato non c’è però da attendersi nulla di traumatico, Raúl e il governo dell’Avana sono saldi e anche la morte di Fidel era messa nel conto. Il problema sarà capire quale sarà la reazione sul medio/lungo periodo a Cuba. Il primo banco di prova è per il peculiare nazionalismo cubano che ha pure tinte latinoamericane. L’identità – la cosiddetta cubania – prevarrà ancora una volta sull’istinto di omologazione agli stili di vita del potente vicino statunitense? La rivoluzione ha sedimentato molta cultura sulla questione identitaria di Cuba: ultimo paese latinoamericano a liberarsi dal colonialismo spagnolo nel 1898, ma primo a mettere in discussione il dominio degli Stati Uniti che si era di fatto annessa l’isola.
Ledere il principio di autodeterminazione non sarà facile per chi a Miami ha festeggiato la morte di Castro con clacson e fumogeni come la vittoria di un Mundial di football. Istruzione, cultura, sanità pur in regime di austerità perenne non sono beni a cui si può rinunciare da un giorno all’altro in nome delle virtù taumaturgiche del libero mercato. Pur tra contraddizioni e periodi bui, Cuba è stata infatti un non banale laboratorio sociale, politico e culturale: sbaglia chi pensa che si sia trattato solo di «socialismo reale» in salsa tropicale. Non si resiste per oltre cinquant’anni a un embargo commerciale statunitense e poi per venticinque anni a ciò che è accaduto a Mosca se non c’è un grumo forte di valori e di connessione sentimentale con parte consistente della propria popolazione.
Il destino di Cuba è perciò nelle mani dei cubani di dentro e di fuori l’isola. Difficile che prevalga la guerra civile o l’istinto di vendetta, anche perché Barack Obama e papa Francesco – con i loro viaggi recenti sull’isola – hanno spianato la via del dialogo e L’Avana ha saputo reagire a tale novità con orgoglio e intelligenza. Il tema di attualità è perciò come si svilupperà la transizione già in corso a Cuba verso un modello sociale a economia mista, non più interamente statale, e con aperture politiche in grado di gestire inevitabili cambiamenti. A Raúl, che ha annunciato il suo ritiro nel prossimo biennio, spetta il compito di lasciare in consegna Cuba alla terza generazione nata dopo il 1959. Fidel l’aveva condotta fin qui.
da il manifesto del 27 novembre 2016
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