di Michele di Lecce
Sono ormai numerosi i compagni che, dopo la compagna Castellina, ricordano su questo sito i nostri meriti storici. Io ne aggiungerei altri mille, con pari orgoglio. Credo però che sia anche il momento delle autocritiche, anche in ordine alla possibilità di un ricoagulo della sinistra di cui siamo parte. Come giornale e soprattutto come area di ispirazione comunista non arresa.
Penso, da “militante di base”, che in questi anni abbiamo fatto almeno tre errori, e chiedo - a chi ha la ventura di mettersi a leggere – di commentare e rispondere. Di aprire un “dibattito franco”, come si diceva una volta. Gli errori passati restano, ma il modo migliore per ripeterli è non discuterne.
Penso agli studenti (quanti ne sono rimasti, delle migliaia che avevamo, già “esperti e rossi“ a sedici anni?), alle centinaia di attivisti dei Comitati di Quartiere che promuovemmo, dei Comitati per la Casa, dei comitati per l’autoriduzione delle bollette e così via. Il gruppo dirigente era cosciente del rischio, ma le necessità incalzavano. Errore previsto e spiegabile, ma lo non fummo in grado di evitarlo. E’ un errore che rischiamo di ripetere anche oggi, noi e l’intera sinistra “alternativa”: i movimenti sociali attuali sono pochi, poco orientabili, provvisori.
Il secondo è di aver troppe volte puntato ad unificazioni e cartelli “dall’alto”, spesso indigeribili, fondati su preziose analisi planetarie onnicomprensive e affascinanti, in cui siamo maestri. Analisi stimolanti per ristrette fasce di dirigenti ma spesso senza articolazioni praticabili. Cosicché la divisione esplodeva appena la realtà incalzava (penso ad AO, ex-Psiup, MPL, spezzoni dl LC, Rifondazione-PdCI, il tentativo di MCU, ecc.). Insomma, non abbiamo puntato abbastanza su iniziative autonome e quotidiane NOSTRE capaci di farci entrare, come ci aveva chiesto proprio Pintor, “nel cuore della gente”. E abbiamo, come conseguenza, trascurato di stabilizzare un tessuto organizzativo territoriale.
Trascurato proselitismo, formazione di quadri, radicamento di massa. Eppure avevamo un gruppo dirigente comunista, della scuola di Togliatti, avevamo una seconda generazione di dirigenti e quadri formati nel Partito e nel movimento studentesco; e avevamo programmi, sedi, militanti. Invece di costruire, sezione su sezione, un partito di massa dalla militanza diffusa, alla fine ha così prevalso – e per noi è stato innaturale e paradossale - la deriva minoritaria. Diceva Togliatti che “nel Partito c’è lavoro per tutti”, ed è così che si cresce. Lo abbiamo trascurato. Abbiamo preferito a volte scontri assembleari notturni su qualche punto insignificante, apparso allora come dirimente, invece che il lavoro paziente quotidiano. Sul territorio e sul posto di lavoro. Spero, con sincero spirito unitario, che ciascuno faccia uno sforzo per non ripetere quell’errore, di privilegiare la difesa intransigente delle proprie precisazioni invece che il rapporto con la gente.
E c’è un terzo errore, più recente, che ci portiamo dietro anche come giornale. L’errore, mi pare, è di cercare di apparire alternativi inseguendo le posizioni dei partiti della “sinistra istituzionale” (il Pds, i Ds, il Pd) con qualche accento più radicale, quindi – si sottintende - più “a sinistra”. Ci si rifletta: molti, sul giornale, invocano l’autocritica del Pd e ne chiedono uno spostamento a sinistra. Ottimo: il Pd è un partito a diverse anime, con vocazione progressista, e lo spostamento a sinistra, almeno “del suo baricentro”, come chiede Tortorella, e un ripensamento del proprio ruolo farebbero bene al Paese. Ma non possiamo sperare che Bersani si faccia crescere la barbetta, calzi la scoppola e arringhi gli operai che escono da Mirafiori come Bucharin di fronte alle folle antizariste. Insomma, spesso “inseguiamo” il Pd, esaltando l’apparire di qualche nuova spinta senza darci il compito di capire anzitutto cosa sta succedendo nel Paese e come muoverci autonomamente.
Penso alla scuola, dove il radicalismo si veste principalmente da lagnanze sui tagli e sul precariato trascurando molta sostanza (per dirne una: la licealizzazione degli Istituti Tecnici, che li dequalifica all’origine e ne castra il ruolo di traino di sviluppo dei territori, come perfino Prodi aveva capito, e così via). Penso alla vicenda dello ius soli, che rischia – specialmente accoppiato al salario minimo - di diventare la tomba della sinistra, se non si corregge in parte l’attuale impostazione, moralista e neo-clericale, capace di suscitare un razzismo di rimbalzo; noi invece rispondiamo solo indignandoci contro chi osa discuterne, pensando così di apparire più radicali del Pd. Penso alla vicenda della ricerca scientifica, dove urliamo su fughe di cervelli e pochi soldi, senza invece porci il problema del ruolo italiano nello sviluppo tecnologico e di dove invece finisce anno dopo anno il grosso delle risorse, gestite da circoli accademici famelici che le usano a proprio compiacimento.
E penso ai no-Tav, allo svuota carceri, alla Fiat, dove strilliamo alla delocalizzazione e dimentichiamo i rapporti in fabbrica e l’alienazione in catena di montaggio e negli uffici, e così via. Posizioni, le nostre, sempre rispettabili. Ma da tempo “all’inseguimento” di agende altrui.
Una di queste è la questione istituzionale, a cui sono legate le questioni della legalità, e – come sappiamo - della democrazia sotto attacco. Su questo mi pare necessaria un’insistenza.
Lasciamo per un attimo da parte l’indecenza del dibattito sulla decadenza immediata di Berlusconi.
Un errore della sinistra va però ricordato, perché costruito su un calcolo miserabile di profittarne e perché si sta ripetendo. Quando, all’inizio, Berlusconi si presentò - sedicente “onest’uomo” innamorato del proprio Paese, sceso in campo per difenderlo dal “comunismo”- la sinistra non fece alcun ricorso: eppure la legge proibiva ai concessionari televisivi di presentarsi e il trucco della sua presunta irresponsabilità nella gestione delle Tv poteva ben essere smascherato in giudizio e invocarlo nella battaglia politica.
Ma soprattutto la sinistra tacque quando la sua lista fu marcata dal “per Berlusconi Presidente”. Ecco: presidente di cosa? Sono cose risapute, ma è bene rifletterci: è lì il primo vulnus al nostro sistema costituzionale (di eletti senza vincoli di mandato, che a loro volta legiferano e delegano ad un esecutivo di fiducia). Se vince una tale lista “per XX Presidente”, appare un soggetto che si auto proclama svincolato dalle regole. E così è successo.
Insomma se si presentasse una lista “per D’Alema Dentista” e questa vincesse le elezioni, D’Alema sarebbe autorizzato, ope populi, all’esercizio della professione? E’ un paradosso, ma non più della realtà. Bisognava porre subito la questione di legittimità di tale lista e invece la sinistra tacque.
Come ora: la non decadenza INVALIDA la composizione parlamentare, la delegittima. Perché il Pd tace sul fatto principale? Il suggerimento implicito di Villone sul Manifesto che qualche senatore, o qualche escluso, impugni subito la permanenza di Berlusconi in Senato mi pare condivisibile. Mi chiedo anzi se non può farlo subito Sel, appoggiato da una campagna del Manifesto giornale.
Ma, appunto, guardiamo oltre, più indietro. Pintor non fu ascoltato quando si rovinò il sistema elettorale con i collegi uninominali. Una casta di notabili svincolati da partiti, idee e programmi avrebbe via via preso le redini del Paese. E la disaffezione della gente alla vita politica, sbancati i riferimenti ideali, sarebbe esplosa. Lasciando ulteriore spazio al “notabilato”. Ed è andata precisamente così. Precisamente come aveva ammonito Pintor.
La sinistra istituzionale – non noi - sperava invece che catalizzando i voti nei “secondi turni” avrebbe raggiunto la maggioranza ovunque. Era un calcolo opportunista, e che comunque è fallito.
Cose risapute, ma da lì all’idea diabolica della governabilità come valore primario anteposto alla legalità e, poi, del “premier indicato dal popolo” il passo è stato brevissimo.
Il resto lo conosciamo: sedicenti “Governatori” regionali che legiferano e si auto investono di prerogative e di rieleggibilità. Assurde primarie che lacerano la sinistra stessa e la fotografano come divisa, incapace, priva di progetto, inadeguata. Obbligata a scegliersi un leader anziché formare una classe dirigente e chiamare a un programma credibile. E, alla fine, oggi, l’alleanza mistificatoria con una destra accanita e estremista per il timore di apparire irresponsabili di fronte al Paese.
Progetto Paese e ruolo internazionale: inesistenti. Risposte alla crisi: subordinate ai ricatti di destra. Ripristino di una legge elettorale democratica: rinviato.
Adesso, al colmo, l’avvio concordato di una riforma costituzionale INTRINSECAMENTE DI DESTRA, pensata ed attuata da una maggioranza parlamentare che ammette, essa stessa, di essere espressione di un Parlamento eletto con un sistema elettorale antidemocratico.
Ecco: qui il nostro ruolo, come movimento, come giornale e come sinistra, può essere rilanciato. Anzitutto sulla difesa della Costituzione. Va bene firmare appelli, che provengono da ogni parte, ma credo che sbagliamo quando motiviamo la nostra posizione con un semplice “la Costituzione è nata dalla Resistenza e quindi non si tocca”. E’ una posizione intrinsecamente moralista, debole.
Il “Popolo della Costituzione” è un popolo dalla coscienza democratica ferma, ma è costituito in maggioranza da intellettuali. Firmano in rete, non può pretendersi che vadano in piazza Tahrir. Invece, quando è in gioco la democrazia, dobbiamo puntare su ben altro, alzare la voce. Perché si badi: l’attacco alla Costituzione nei termini attuali non è un tentativo di modernizzarla, di equipararla a Costituzioni europee, di democratizzarla o altro, è un atto di violenza.
E’ L’ATTO DI VIOLENZA DI UNA CLASSE POLITICA AL POTERE NEI CONFRONTI DEL PROPRIO POPOLO PER CERCARE DI SFUGGIRE ALLA DEFENESTRAZIONE.
Defenestrazione annunciata dal calo del consenso elettorale e dalla ristrettezza dei propri margini in Parlamento e dalla emersione giudiziaria dei propri sistemi di reperimento del consenso.
ED E’ UN ATTO DI VIOLENZA PREVENTIVA E COLLETTIVA, NEI CONFRONTI DELLE POSSIBILI OPPOSIZIONI, TESO UNICAMENTE A CONSERVARE IL POTERE.
La mediazione è UN PATTO SCELLERATO che sancisce la GOVERNABILITA’ A ROTAZIONE DURATURA e senza più RISCHI DI SFIDUCIE dal Parlamento, che hanno compromesso il rapporto con la classe dominante VERA, quella finanziaria - gretta e predatrice - di cui la classe politica si sta rivelando sempre più espressione subalterna e servile.
Personaggio dopo personaggio, vecchio e nuovista. LE ECCEZIONI SI SONO GIA’ DEFILATE.
Ed è giuridicamente studiato, come si capisce dalla sterilizzazione preventiva dell’art.138, che è concepito E INSERITO in Costituzione proprio PER ESCLUDERE modifiche costituzionali da parte di maggioranze ristrette, e comunque - sempre - con tempi dilatati di riflessione.
Ed è un piano PREDISPOSTO DA TEMPO, forse in oscure stanze piduiste: nel 2006 - forse qualcuno lo ha dimenticato - il governo Berlusconi III ha proceduto preventivamente a modificare l’art. 283 del Codice Penale, che NON avrebbe permesso, oggi, la modifica del 138.
E’ risaputo, ma oggi si capisce meglio la manovra: l’art. 283 prevedeva infatti 12 anni di reclusione per chiunque: «commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo, con mezzi NON consentiti dall' ordinamento costituzionale dello Stato». L’art. 138 è appunto l’ordinamento costituzionale che regola le modalità delle possibili modifiche. Il Berlusconi III, con legge n° 85/2006 (Modifiche al codice penale..), modificò ad hoc l’art. 283 C.P.: “Chiunque, CON ATTI VIOLENTI, commette un fatto diretto E IDONEO a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di governo, è punito con la reclusione non inferiore a 5 anni”.
La differenza è enorme: sparisce il subordine all’ordinamento COSTITUZIONALE, dà rilievo ESCLUSIVAMENTE a modifiche conseguite con ATTO VIOLENTO, cioè con la forza, e per di più IDONEO (cioè solo dopo che il tentativo è riuscito) e con pena più che dimezzata.
Si vada in rete e si scoprirà in chiaro il nesso fra questa modifica e il fallito processo alla P2.
Si badi, infine: la possibilità di revoca dei Ministri da parte del Premier è una modifica SOSTANZIALE E GRAVE della “forma di Governo”. La irrevocabilità dei ministri, in particolare dell’Interno (Polizia di Stato), della Difesa (Carabinieri), delle Finanze (Guardia di Finanza), e della Giustizia (il Guardasigilli) è oggi esattamente la GARANZIA che il Capo del Governo non possa istaurare una propria dittatura. Tolta questa garanzia ogni strada E’ APERTA E POSSIBILE.
Ma non si tratta solo di un a mediazione con la destra a scapito della democrazia: il Pd, con questo patto di governabilità a rotazione DURATURA SENZA SFIDUCIE POSSIBILI, impostato sul cosiddetto “presidenzialismo forte“, fa un nuovo calcolo opportunista e FALLIMENTARE.
Perché è un patto che la destra, appena al suo turno di potere, NON RISPETTERA’.
Deve essere chiaro già oggi: quando sarà il proprio turno di governare, sancito dall’elezione del Pregiudicato o di qualche gerarca minore, la destra non rispetterà la possibilità di un cambio di maggioranza. La sua dirigenza va dal Pregiudicato stesso a Verdini, dai piduisti ai Quagliariello, fino ai dirigenti Mediaset, esperti in fatturazioni elusive, falsi in bilancio, corruzione, frode fiscale.
Gente che non avrà remore a rovesciare impegni: Berlusconi, come il sergente austriaco, ha costruito un partito in cui ogni adepto sostiene non un’idea o un programma, ma la fedeltà giurata al Capo. E‘ il “partito di un uomo solo”. Qualcuno si è dimenticato del voto in Parlamento sulla “nipote di Mubarack”, delle leggi salva-Silvio, del rinnego immediato della legge Severino?
Queste cose la dirigenza del Pd le sa bene, da D’Alema agli ex-DC fino alla stampa fiancheggiatrice di Scalfari. Ma stiano bene attenti: stanno per regalare il Paese alla destra mediante una modifica che impedirà, anche a loro, ogni opposizione appena si eleggerà il Pregiudicato o qualche suo fido.
Allarmismo? Hanno già dimenticato il tentativo di golpe bianco del Porcellum e la Bicamerale?
Perciò la risposta deve essere più alta dei semplici appelli o ragionamenti.
Occorre dire esplicitamente, dalle pagine del giornale e in rete, che se si affida il governo dI QUESTO Paese ad un “eletto”, a maggioranza larga o risicata, prima o poi costui - chiunque sia e più o meno forte che sia pensato il suo premierato - troverà il modo di ELUDERE ogni controllo. Sia il controllo di chi TU hai scelto per rappresentarti, sia di chi dovrebbe controllarlo.
E inevitabilmente cercherà di rimanere “al potere”, circondato da gerarchi cooptati obbedienti e a loro volta sempre più potenti (la vicenda Formigoni, tralasciando Mubarack e dittatori vari, eletti e poi auto rielettisi sono esempi chiarissimi). Con una DIVARICAZIONE sociale sempre più profonda e con le classi subalterne sempre più IMPOTENTI ad alzare la voce quando necessario.
Spiegare cioè in chiaro che l’investitura popolare anziché parlamentare, è la premessa di poteri incondizionati. E‘ un passo - in presenza di questa destra ESTREMISTA e spergiura, e nel Paese che il fascismo LO HA INVENTATO - verso la dittatura.
Un passo irreversibile: i giornali si adeguano, i poteri statali si sottomettono.
“Non imponiamo”, diceva Goebbels, “basta un cenno e capiscono”.
Ci pensino i dirigenti del Pd. La strada può essere segnata e quando sarà il tempo del rovescio il Paese NON DISTINGUERA’ fra rei, ricattati e belle menti. Guardino alla Romania, alla Libia, alla Tunisa e ci pensino bene: LE PIAZZE IN RIVOLTA NON ACCETTANO PIAGNISTEI.
Ci pensino ora D’Alema, Violante e i sostenitori del Premier eletto dal popolo e con più poteri, riflettano sulla road map che la destra sta attuando fingendo spirito unitario. Riascoltino il video messaggio di Berlusconi: l’araldo dell’odio ha già smesso i panni del trombettiere di speranze, il suo è un nuovo, inquietante, pericoloso, Mein Campf.
E, insieme, dobbiamo e possiamo insistere che ogni punto di premio di maggioranza, ogni sbarramento, “riduce il TUO peso elettorale”, “condiziona la TUA scelta”, è “contro di TE”.
Una testa un voto, liste aperte senza “candidati leader”, sarà il Parlamento a designare l’esecutivo. Deve essere questa la nostra parola d’ordine, chiara e pulita.
Capisco l’unica obiezione seriamente motivata (di Flores D’Arcais) ma è sempre meglio poter scegliere un partito e il suo patrimonio di idee, programmi e classe dirigente, che un pugno di notabili; e alla fine un eletto dallo scrupolo democratico incontrollabile.
Tralasciando i dettagli, dobbiamo insomma lanciare una campagna di massa, noi e la sinistra intera (dal manifesto a Sel, da Rifondazione a PdCI, dai nuovi soggetti agli intellettuali democratici), che entri NEL MERITO e dica chiaramente: attenzione, è così che nascono le dittature e nessuna di esse è stata mai rovesciata senza una lunga e martoriante guerra civile.
Il puro e semplice richiamo ai valori della Resistenza e l’indignazione per il loro stravolgimento non sono è oggi, assolutamente, la chiave della risposta. Anzi, rischia di isolarci come nostalgici.
E c’è un altro punto su cui dobbiamo e possiamo intervenire, dal giornale, e che riguarda ancora la questione istituzionale: l’intreccio fra istituzioni periferiche, illegalità e inefficienza. Ora, al presente, la priorità è una campagna per la difesa della democrazia. Un giornale, un giornale, un giornale, certo; ma anche “campagne, campagne, campagne”. E alleanze, anche scandalose per i puristi (sulla belusconiade, sul proporzionale, sulla legalità).
E intanto, riprendere la costruzione silenziosa e paziente di un tessuto organizzativo, con legame di massa. La sinistra, e il Manifesto al suo interno, non è per niente morta. Qualcuno si preoccupi.
Michele di Lecce - Roma 20 settembre 2013
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