Il manifesto, l’associazione, i compagni.
di Enrico Pugliese
Parlerò del Manifesto come lettore e come autore rispondendo alle sollecitazioni di Valentino e di Marco Luzzatto. Premetto che sono d’accordo sul fatto che bisogna intervenire e portare avanti un dibattito su temi politici sul sito della Associazione Luigi Pintor e che non sono d’accordo con l’idea di fare una rivista. Ma comincio dalla situazione del Manifesto. La mia impressione è che il giornale con tutte le sue perdite di autori e compagni autorevoli vada avanti più o meno come prima. D’altronde, con l’eccezione di Angelo Mastrandrea, la direzione e il gruppo effettivo di comando sono gli stessi. Il giornale ha perso poche copie oltre quelle che aveva perso durante la gestione Rangeri prima che venisse dato il benservito a Rossana Rossanda e Valentino Parlato. Nei giorni successivi all’ “uccisione del padre e della madre” molti compagni avevano smesso – sia per sdegno che per valutazione dei contenuti (o dei mancati contenuti) del giornale – di comprare il Manifesto ma poi hanno ripreso farlo .
In altri termini – secondo me - il Manifesto non solo è brutto come prima - per le elucubrazioni negriano-postmoderniche di Vecchi e dintorni e per le lenzuolate degli Asor-Rosa e degli altri accademici miei coetanei ( o più maturi) - ma è anche, per così dire, buono come prima. Certe notizie e certi punti di vista si trovano ancora solo sul Manifesto. E’ innegabile. Perciò la gente lo compra. Perciò ci auguriamo che viva. Certo: mancano le inchieste di una volta. Certo: mancano le analisi e i commenti sull’America. E- tanto per restare intorno a questo problema specifico - l’effetto del benservito, per altro sfottente, a D’Eramo si nota anche nel modo in cui vengono trattati alcuni temi. Penso al penoso paginone su Bourdieu di qualche settimana addietro. E tuttavia se in Italia c’è un convegno su Gramsci Il Manifesto è l’unico giornale che ne parla. Salvo poi pubblicare solo l’articolo (per altro nel complesso di ottima qualità) di Losurdo che usa Gramsci per prendersela con i No Tav.
Non è un buon giornale quello che era il nostro giornale. Ma andava già male prima ed ora ha fatto solo un salto verso il peggioramento. Lo so che politicamente ondeggia e che non è stato neanche tanto entusiasta nei confronti di Sandro Medici nella vicenda delle elezioni. Ma è il giornale che ne ha parlato di più. Non è quello di una volta ma anche perché i tempi non sono quelli di una volta. D’altra parte qualche sbandatella politica il giornale la ha avuta anche in passato.
Per quel che riguarda l’oggi e le prospettive la mia impressione è che la Rangeri e I giovani ( e vecchi) turchi che hanno rappresentato la forza d’assalto contro le firme storiche siano convinti di farcela da soli. Il che vuol dire che non ci vogliono. Ciò è evidente non solo dalle risposte della Rangeri, ma anche dal beneducato (e solo sottilmente arrogante) documento del ‘collettivo’ alle amichevoli sollecitazioni di Valentino. Quindi: come si fa a chiedere di lavorare insieme a chi ‘non ti si fila proprio…’ (per dirla con una espressione tecnica)? Intendiamoci. Io sono convinto che quelli che gestiscono ora il giornale verranno a Canossa più in avanti. E Per Canossa intendo Valentino, qualche circolo più attivo e qualche giornalista più fedele alla memoria o meno indignato. Avranno bisogno di sottoscrizioni e altre forme di aiuto. E forse si renderanno anche conto che le nuove firme sono un po’ poverelle. Ma per ora mi sembra che si ritengano autosufficenti. Per quel che riguarda i collaboratori esterni vecchi e nuovi mi sembra che la gente sia ancora contenta di scrivere.
Per di più – mancando nel giornale una guida, un reale collettivo culturale e politico, una tradizione culturale seria (non quella delle pagine della ‘cultura’), una sensibilità sociale forte e un orientamento di classe non c’è rischio di confronto. L’intellettuale, l’accademico, il professore che scrive ora sul Manifesto non ha più limiti (neanche nelle dimensioni degli articoli ) alla espressione della propria creatività. Da cui le lenzuolate sui massimi sistemi sempre più presenti. Agli intellettuali di sinistra - si sa - "scappa di scrivere": è uno stimolo al quale non si può resistere. Il giurista, il filosofo, l’economista, lo storico devono dire la loro sui campi loro (e non) altrimenti scoppiano. E allora scrivono e i loro articoli passano. Oddio: passano faut de mieu. Il manifesto da più di un decennio non è più scuola di giornalismo per i giovani. Questi dovrebbero apprendere dai redattori e dai collaboratori rimasti. E ora c’è davvero poco da apprendere. Detto per inciso, scriverei anch’io, giacche spesso "scappa" pure a me ogni volta che leggo un articolo fesso sul sindacato o sulla condizione operaia o sul Mezzogiorno o sulla povertà o sulla immigrazione o ancora di più sull’emigrazione (e ormai anche sul Manifesto ne leggo tanti) . Ma non lo faccio un po’ per solidarietà con i compagni messi in condizione di andarsene un po’ perché sono sicuro che i miei contributi non sarebbero apprezzati da chi governa ora il giornale. E’ una questione di sensibilità politiche, sociali culturali: nulla di personale. Perciò, tornando a quanto si diceva all’inizio, se il Manifesto dovesse chiudere mi dispiacerebbe come lettore e ancora di più come cittadino. Ma come autore mi sono già messo l’anima in pace. E forse non mi "scappa più" neanche tanto. Non ho alternative ma me ne posso fare una ragione.
Non credo che ‘Sbilanciamoci’ – che pure apprezzo molto – sia una valida alternativa. E qui mi sorge una curiosità. Secondo voi Mario Pianta aveva spiegato in giro che – così come ritenuto da molti - il sito di Sbilanciamoci non era da considerare una alternativa al Manifesto – il luogo dove si scrive invece che sul Manifesto - me che invece il giornale è il luogo privilegiato per la ripubblicazione e pre-pubblicazione di pezzi pubblicati (da Pianta e altri) su Sbilanciamoci? Non vorrei che qualcuno fosse caduto nell’equivoco. Ma forse non è importante In conclusione trovo legittimo aderire (da parte di chi vuole) a una eventuale richiesta di collaborazione proveniente dall’attuale gruppo di controllo del Manifesto per aiutare il giornale a non chiudere. Io personalmente, in un caso del genere, sarei anche contento di riprendere a scrivere, pur sapendo che le mie tematiche non godono di grande apprezzamento. Tuttavia ho chiaro che il Manifesto non potrà più essere il “mio giornale”. E’ stata una bella storia ma ormai è una storia esaurita.
Ma passiamo a chi siamo noi. Siamo pochi. Noi presenti all’assemblea di San Pietro e Paolo non rappresentiamo tutti quelli che se ne sono andati o sono stati cacciati dal Manifesto nell’ultimo anno. Quest’ultimo è un gruppo vasto quanto eterogeneo. E noi ne siamo una piccola parte. Né è da ritenere che ci si possa mettere tutti insieme. Sono diversi gli orientamenti politici, le culture, gli stili, le simpatie e antipatie personali. Si tratta di fattori che in piccole dosi hanno dato – proprio per questa pluralità – forza al Manifesto. Sempre parlando di noi, mi torna in mente la recente rilettura de I miserabili. Noi siamo – si parva licet... - come i "convenzionali" del ‘92, quelli che impressero la spinta alla rivoluzione e condannarono a morte il re e che poi negli anni Venti (dell’Ottocento) erano vecchi, stanchi e frustrati. Eppure di meriti ne avevano avuto. E le barricate del ’30 dimostrarono che le loro idee non erano andate perdute, che il corso della storia andava avanti, che la restaurazione non poteva cancellare tutto. Ma quei vecchietti sulle barricate del ’30 non c’erano e non potevano esserci.
Non so chi ci sia ora da noi sulle barricate ideali. I no Tav? La Fiom ? Noi certamente no. Le rivoluzioni le fanno i giovani. Credo che anche noi abbiamo tutti qualcosa da dire e soprattutto da imparare. E credo che alcuni di noi siano depositari di una tradizione e di una sensibilità culturale con contenuti che rischiano di disperdersi. Ed è proprio questa dispersione che Rangeri e i giovanotti che hanno preso in mano il giornale volevano, per altro in tutta onestà (oddio: magari forse non proprio ‘tutta’) perché non credono alle stesse cose. E molte le ignorano. Le loro sensibilità culturali e il loro approccio alla politica e alla realtà sono altri. Se noi vogliamo continuare a essere attivi bisogna che facciamo altre cose. Perciò ben vengano i dibattiti sul sito dell’associazione Pintor. Ed è bene collegarsi ad altri siti attivi e ‘amici’- Ma quanto all’idea di fare una rivista l’unica cosa che mi viene in mente è che non ci sono né soldi né soldati a sufficienza. Non nego che abbiamo qualcosa da dire ma siamo in pochi e poi tra noi non ci sono giovani. Una rivista bisogna prima farla materialmente (e non è semplice) e poi venderla. Il Manifesto 2 (La Rivista) fu una buona idea e di relativo successo. E fu sbagliato chiuderla. Ma eravamo molto più forti sul piano politico e avevamo un’area di influenza specifica e particolare (’i vecchi compagni del Manifesto’) che nel tempo si è assottigliata notevolmente. E quest’area – detto con franchezza - sarebbe l’unica interessata al nostro tipo di approccio.
Rispetto a tematiche nuove avremmo invece concorrenza forte e di qualità. Penso all’Internazionale e non solo. Un Manifesto 3 non riesco proprio a vederlo. Infine c’è un’attività che insieme a compagni e intellettuali dispersi si può e si dovrebbe continuare a fare. Mi riferisco a dibattiti su tematiche urgenti e meno urgenti, a seminari grandi e piccoli, a temi di dibattito che hanno una eco sul Manifesto e su Sbilanciamoci: l’Euro, il reddito di cittadinanza. E poi la vicina Cina: penso alla affollata presentazione del libro di Angela Pascucci anche se l’età media dei presenti non incoraggiava. E infine penso a qualcosa – ne parlava Anna Pizzo – di importante su “Stampa e Potere”. Insomma c’è da fare e da dire, pur senza una rivista. E quanto al giornale, se son rose…
Enrico Pugliese
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