Finita la sinistra, rimane il comunismo
di Roberto Donini
Intervengo in questo ricco dibattito rimanendo entro due “confini”: da una parte metto l’ultimo editoriale di Luigi Pintor, dall’altro accolgo le considerazioni, “alte”, svolte da Gianni Ferrara nel suo contributo su queste pagine.
Pintor, da grande poeta qual era, colse prima e tutta la realtà e nel suo “Senza Confini” – eravamo nel 2003 – fulminò:
“La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno.”
http://fondazionepintor.net/manifesto/senzaconfini
Che dire, quella poesia, si rimprovera sempre il poeta di mettersi in mezzo, di dirsi ma anche dirci troppo, ora è prosa; ora dice proprio e sconfina.
Propongo di leggere le considerazioni di Ferrara a spiegazione di questa dipartita: il problema è la crisi profonda, profondissima, della democrazia che in Italia assume toni sempre melodrammatici per le elite e ruvidi per le classi subalterne, ma che ben più tragica già incombe, dopo le illusioni primaverili, tra i dirimpettai mediterranei. Probabilmente la sinistra muore quando la democrazia diventa gioco di fronde, quando il popolo viene illuso di partecipare e poi di venir governato, mentre primarie, elezioni, governabilità e ora larghe intese nascondono –ora mica tanto- che il dominio è altrove in appartati consessi.
Noi, de il manifesto e del PdUP, intuimmo e cercammo di contrastare la deriva. Lo facemmo con uno spirito di servizio e di alta moralità difficile da tradurre oggi ai professionisti della poltrona, ma soprattutto con lucida razionalità. Intendo tutta quell’area, che pure si sfrangiò – ad es. Lisi qui racconta esperienza leggermente diversa dalla mia molto più legato alla “manovra” di Magri-, aveva ben chiara l’empasse del comunismo sovietico bloccato a Praga come modello per l’occidente, la nuova fase storica del neocapitalismo con lo straripare del capitalismo oltre i luoghi della produzione, di qui la critica ai neutralismi –Marcello Cini e la Scienza, Maccacaro e la medicina, le nostre testi sulla scuola, di qui la necessità di riannodare al movimento operaio, cresciuto in epoca di patto per il lavoro, un mondo già fuori della fabbrica. Con quell’opzione – che allora ai marxisti puri appariva assai eterodossa - cercammo di ritrascinare il PCI nella società.
Forse era già tardi: Magri ricorda, in “Alla ricerca di un altro comunismo”, come Rossanda fosse convinta, e così si litigò non per poltrone ma per “Storiografia” (sic!), che il PCI fosse finito con la morte di Togliatti; forse si poteva tentare ancora, spostare qualcosa ed effettivamente il compromesso storico venne abbandonato, ma il PCI, come sempre Magri ricorda non era affatto “marxista”, e si avviò comunque alla dissoluzione. Fui con Magri, perché allora mi parve ancora possibile l’impegno, il dover essere, che solo ora dispiega un’altra verità; quella di Rossanda. Non credo sia stato inutile batterci perché quelle idee arrivarono almeno a contaminare ancora alcuni gruppi militanti, arricchirono le posizioni nello scioglimento del PCI, non riducendo la sua sinistra a pura ortodossia, infine e di riflesso diedero ancora aria e area al giornale per informare, dibattere e anche testimoniare del comunismo, quello critico.
Ora, dopo che l’epitaffio di Pintor è carne, ora bisogna prendere atto della morte della sinistra, per non affannarsi troppo con il defibrillatore. Che significa?
1) Anzitutto la morte della sinistra significa fine di una rappresentanza istituzionale delle istanze popolari, non che quelle istanze non ci siano più, anzi aumentano e si fanno molto critiche, proprio come quelle critiche che svolgemmo negli anni 70. Il problema non è come si dice “moralisticamente” negli ambienti ex di sinistra che “il popolo italiano è bue e vota Berlusconi” ma che il popolo non vede nulla nei salotti di tutti i generi e grado di sinistra che garantisca una critica coerente, inflessibile e testimoniale (nel senso di rimetterci di persona anche). Il popolo non vota affatto per Berlusconi, visto che su 50 mln di aventi diritto lui ha preso 7 mln e spicci – ricordo che l’antico elettorato della DC era il doppio- invece è che un teorico del vuoto assoluto – visto che si è arricchito commerciando pubblicità, diritti televisivi, produzioni tarocche, il nulla appunto - si è avvantaggiato dal vuoto che gli apprendisti stregoni con l’alchimia del maggioritario – come ricorda Ferrara - hanno creato nella partecipazione, nell’impegno, nella dignità popolare.
2) Nella ricerca della pietra filosofale della governabilità, “Dall'89 hanno perso la loro collocazione storica e i loro riferimenti e sono passati dall'altra parte” come sferzava Pintor, ora giungono compatti al centro e lì si sciolgono. Giace lì un raggruppamento che per successive negazioni alla fine si chiama “democratico” paradossalmente mentre la democrazia boccheggia. E’ la fine del partito, cioè dello stare da una parte, perché non si ha più un valore alternativo da indagare e proporre ed è però la crisi della politica ridotta ai termini ciceroniani della retorica, della persuasione, cioè della falsa coscienza del farsi ancilla di disegni, non pubblici, per nasconderne l’indicibile interesse privato.
Credo che il manifesto, giornale abbia sofferto, mutatis mutandis, questo scivolare nell’indistinto, questa difficoltà a difendere e far leggere la sua parte di “quotidiano comunista”. E’ un fatto, un dato storico e nell’assumerlo necessiterebbe l’umiltà, che come ricorda Pugliese, non si legge nei lenzuoli degli intellettuali, assai dentro agli impicci dell’ex sinistra.
Da ultimo, per meglio intenderci su cosa significa morte de La sinistra italiana che conosciamo, ritengo che pochissimo si sia speso nel capire il fenomeno Grillo, enorme elettoralmente ma non solo. Grillo è stato liquidato con vezzo intellettualistico e moralistico, perché non aderiva alle categorie astratte della ex sinistra e al suo bon ton, invece Grillo è un genio politico nel senso machiavelliano ed hegeliano del termine: coglie e assume il momento, la domanda del popolo, l’indignazione per la corruzione. Attenzione a non banalizzare, corruzione sta per “corruptio”, cioè non solo ladrocinio e immoralità ma degenerazione delle forme, retorica, ridondanza, inutilità. E’ certo una posizione destruens ma è l’epoché e la foto abbagliante dell’oggi, forse disorientante, della crisi profonda di senso certo delle forme di rappresentanza politica ma anche della forma finanziaria e iper-monopolista (il monopolio radicale di Ivan Ilich) dell’economico. Non basta liquidare come qualunquismo populista il fatto che una parte trasversale del popolo sia stata coinvolta, elettoralmente, da questo flash questa è una lettura “disimpegnata” e antigramsciana, il fatto invece è che un popolo da sempre tradito e oppresso dalle sue classi dirigenti (qui è la costanza di Gramsci) si sforzi ancora di muoversi, di guardare per vedere oltre le morte forme presentate dai media, è nota ottimistica.
Concludo davvero: forse l’addio dei suoi padri – che provarono a vedere il comunismo nell’oggi - al giornale dovrebbe spingere i giovani a guardare meglio, a fare inchiesta e poi chiedersi cosa significa – di dove deriva e dove va- quotidiano comunista. Forse è tardi? Forse, ma la morte della sinistra segnala una rottura di “confini”.
“Non un'organizzazione formale ma una miriade di donne e uomini di cui non ha importanza la nazionalità, la razza, la fede, la formazione politica, religiosa. Individui ma non atomi, che si incontrano e riconoscono quasi d'istinto ed entrano in consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un'area senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un'era che ce ne sta privando in forme mai viste.”
Segnala la giovinezza di una ricerca di comunismo.
Roberto Donini - Roma, 20 agosto 2013
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