LA TABELLA
Luigi Pintor
Se in una conversazione tra amici ti trovi a sostenere qualcosa che quasi nessuno condivide è probabile che abbiano ragione loro e sarà meglio non insistere e semmai riparlarne. Vale per il risultato elettorale del 13 maggio, che quasi tutta la sinistra considera una vittoria mancata per un soffio e per colpa di tizio o caio (Bertinotti o Fausto), mentre per parte mia sono incerto se considerarla una Caporetto, una Beresina o una Waterloo. A parte che i paragoni militari sono sempre sbagliati, è presumibile che abbiano ragione gli altri.
La tabella che ha pubblicato domenica questo giornale era impressionante. Un 1948 (ma anche questi ricordi di un altro tempo sono sbagliati). Il 16% riduce il partito diessino a una costellazione come le altre nel cielo della politica nazionale dove brilla un solo astro. Ma a parte il dato complessivo (la metà del partito berlingueriano) impressiona l'arretramento a tappeto che non risparmia le roccaforti dell'Italia centrale (meno 7 in Emilia e nell'Umbria terremotata) e investe il nord e il sud in pari misura (dimezzamento in Puglia dove D'Alema fa festa e un voto su dieci in Lombardia). Rifondazione ha in parallelo la stessa caduta.
Forse è una questione di educazione generazionale. Una sconfitta di queste proporzioni (anche considerando solo i numeri) avrebbe prodotto un terremoto nel vecchio Pci dove l'autocritica (magari l'autocritica degli altri) era una regola. Del resto anche Occhetto, nel '94, fu allontanato senza complimenti. Perfino De Mita esclamò, un giorno che la Dc cominciò il suo declino, "che botta!". E il Psi sotto le macerie inventò Craxi. Ora è tutto normale e D'Alema annuncia una politica di continuità, una opposizione di sua maestà che contenderà alla destra il primato della modernizzazione del paese. A Torino, il candidato sindaco rifiuta un accordo con gli appestati di Rifondazione che potrà sempre incolpare della sconfitta.
Nel ritenere che abbiamo perso per un soffio e che basta continuare come prima per avere presto la rivincita (se il destino non è un cinico baro) gioca forse la convinzione che la gamba della margherita è un tronco e che Berlusconi è solo un gigante con i piedi d'argilla o un nano che ha costruito una piramide sulla sabbia. Ma sì, speriamo che le contraddizioni tra Rutelli e Castagnetti sulla legge 194 siano minori di quelle tra Berlusconi e Bossi in generale, e che il primo inciampi nelle innumerevoli trappole della governabilità e l'ostilità dell'Economist gli sia fatale.
Fare assegnamento sulle contraddizioni altrui è giusto (prescindendo possibilmente dalle condizioni di salute) ma è illusorio farsene un alibi per la propria inerzia e sperare di rivincere per gli errori altrui anziché per le proprie virtù. La pera non cadrà da sola né domani e quando cadrà non finirà in grembo a chi non l'avrà meritata.
Questa disattitudine a fare i conti con se stessi e con gli altri, a misurarsi con le cose come stanno, a interrogarsi sulle cause di un male e sulle cure da adottare, questa imbalsamazione del pensiero e dell'azione è un brutto segno. Ogni buon medico sa che la sorte di un infortunato dipende in gran parte dalla reattività del suo organismo e dagli anticorpi che sa produrre. Senza di che il coma può farsi irreversibile e alla Beresina segue Waterloo. E crepi l'astrologo, naturalmente.
il manifesto 22 maggio 2001
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