Luigi Pintor
Riprendo un tema che ho già trattato altre volte senza successo (per es. dopo la sconfitta elettorale di un anno fa, Bologna etc). È il tema di una nuova formazione politica che dovremmo mettere in campo, che unifichi o raccordi tutta la sinistra non governativa, che abbia radici nella società e operi anche nelle istituzioni.
Lo tratto in modo schematico, con pochi argomenti e vaghezza di contenuti, sia perché non so fare diversamente, sia con intento provocatorio. È una mia idea fissa, che va incontro a innumerevoli obbiezioni di principio e pratiche (per la sua astrattezza, o immaturità, o volontarismo o altro). Ma esplicitarla non fa male a nessuno.
Tra un anno e poco più (o forse meno) ci saranno le elezioni politiche. Possiamo anche non sopravvalutarne l'importanza, data l'affinità degli schieramenti in lizza, ma dobbiamo pur farci i conti. È difficile farli prima dei referendum e senza conoscere la legge elettorale. Ma non c'è il tempo di aspettare.
Se vincerà la destra, forse si formerà un'opposizione seria ma è un'ipotesi azzardata e non sarà allegro. Se vincerà il centro-sinistra (improbabile) non avremo un male minore ma un altro male, la politica di D'Alema (Blair) al quadrato e non sarà più allegro (non solo per noi ma perfino per Cofferati, né per qualche egiziano dimezzato).
Bertinotti e il suo partito si troveranno in una tenaglia, o integrarsi nella coalizione governativa (annullandosi) o ridursi a un ruolo di testimonianza (annullandosi con diritto di tribuna). Col sistema proporzionale il dilemma non sarebbe così cornuto, ma noi stessi abbiamo lasciato questa bandiera democratica (sebbene tedesca) a Berlusconi.
Dobbiamo rompere questa gabbia, destabilizzare questo quadro politico costrittivo, mortifero, introdurre una innovazione qualitativa. E non vedo altro modo, altro tentativo, che mettere in campo una formazione politica che possa rivolgersi ai milioni di persone che oggi non votano o si turano il naso, che non hanno rappresentanza e hanno chiuso con la politica per ottime ragioni.
Elenco brutalmente le forze e le esperienze disponibili (teoricamente, in quanto hanno per lo meno un comune denominatore anticapitalista). Le comprendo nella formula "sinistra antigovernativa": sono Rifondazione comunista, la sola forza già costituita, gli ambientalisti, la sinistra sindacale, i centri sociali, molte esperienze di base che non hanno riferimento, quel che resiste della cultura democratica non omologata al sistema, le minoranze e l'area popolare diessina in sofferenza, donne e uomini che operano nei grandi comparti nell'ex stato sociale, il mondo della precarietà e della diversità.
Perché non indiciamo o proponiamo una costituente entro il prossimo autunno, da cui far nascere una formazione politica capace di raccordare questa potenzialità e le domande che sottintende, offrendo qualche possibile risposta? Non dico una federazione o un partito ma una "formazione politica" che potrebbe chiamarsi sinistra unita, con forme organizzative elastiche di nuovo conio, su cui misurare la nostra fantasia.
Quando dico "indiciamo", non so a chi mi riferisco. Una iniziativa di questo genere, in realtà, può essere assunta e promossa solo o principalmente da Rifondazione e dalla sua leadership, per ragioni evidenti (compreso l'accesso ai mezzi di informazione) di rappresentatività, e perché è già nel gorgo più di quanto lo siano i nostri giornali o riviste o le nostre idee individuali. Ma c'è tutta una lunga storia da recuperare, l'eredità buona del movimento operaio e del comunismo italiano. Se scrivo queste cose su questa rivista è forse perché essa ha una direzione composita che allude a una sinistra unita e a tutto ciò per cui il manifesto ha sempre lavorato.
Un programma con obbiettivi a breve-medio termine non è impossibile da redigere, come collante minimo di un'operazione come questa. Neppure è impossibile, sebbene più difficile, iscrivere questo programma in una cornice o prospettiva più generale, che riaffermi principi o idealità inalienabili anche se inattuali. Ciò che noi combattiamo non è il liberismo o il capitalismo selvaggio, che sono i bersagli più facili, ma il capitalismo senza aggettivi: questo è il nostro nemico, sviluppo e crescita senza senso e senza finalità comunitarie, un modo di produrre consumare e vivere che significa un modo di non produrre non consumare e non vivere per gran parte del mondo e che genera infelicità anche nel mondo avanzato. Dò ancora importanza alle battaglie ideali, al di là di quelle politico-elettorali a cui pure si riferisce questo scritto.
Ho premesso che avrei detto cose schematiche, povere di argomenti o provocatorie e ho rigorosamente rispettato questa premessa. Sento il bisogno di una novità, anche di immagine o di stile. So che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, ma questo è già accaduto e il rischio che corriamo è solo di riacquistare la vista.
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