Noi e Kennedy
di Luigi Pintor - l'Unità del 24 novembre 1963
Non è per ragioni di umanità e civiltà che noi comunisti, e come noi tutto il Movimento Operaio e popolare italiano, abbiamo reagito con emozione e commozione alia tragica notizia della scomparsa di Kennedy. Non e solo, cioè, per il naturale senso di costernazione che genera nell'animo di ciascuno la morte inattesa e ingiusta di un uomo giovane e vitale, rappresentativo dei sentimenti, delle tradizioni e degli ideali di un grande paese. Ne e solo per la deplorazione che ispira, a un movimento come il nostro che ne e stato vittima per lunghi anni e ancora nel recente passato, un atto individuale di sanguinosa violenza, avulso da ogni legittimo contesto di lotta politica e ideale collettiva.
Non e solo per queste ragioni, ma altresì per precise considerazioni e valutazioni politiche: giacché il presidente Kennedy era per noi un antagonista con cui misurarsi per vincere, non un oppressore da abbattere; la sua politica, come espressione della massima potenza capitalistica, impegnava a una lotta, a uno scontro e a possibili incontri sul terreno della competizione, non dell'urto armato; e la sua figura era legata a una revisione della strategia occidentale che non rispondeva solo a un calcolo ma poggiava anche su una presa di coscienza del carattere catastrofico della guerra atomica, e quindi della necessità di intese internazionali; della necessità di una maturazione democratica della società americana come condizione di una sua affermazione egemonica.
Proprio in virtù di questi caratteri della politica kennediana, gran parte della stampa mondiale e italiana e degli uomini politici più responsabili hanno fin dal primo momento indicato gli ispiratori dell'attentato nei settori più arretrati della società americana: nella destra. americana estrema, razzista e colonialista, antidemocratica e bellicista.
Dallas e la città dove venne picchiato poco tempo fa uno dei massimi collaboratori di Kennedy, Adlai Stevenson, e dove imperano le organizzazioni fasciste americane tipo la John Birch Society e i militaristi ribelli tipo il generale Walker. Ne il problema riguarda semplicemente delle minoranze fanatiche: il razzismo all'interno e il ritorno a una politica aper
tamente aggressiva su scala internazionale sono le due grandi leve su cui poggia quella parte della classe dirigente americana e quel vastissimo settore della società americana che da anni ha individuato in Kennedy e nel suo gruppo un proprio nemico, fino a bollarne tutta la politica con lo slogan « pace con vergogna ».
Salito al potere con un margine ristrettissimo di voti, osteggiato da gran parte della stampa e dall'apparato di interi Stati, Kennedy non e mai riuscito in questi anni a superare questa impopolarità, fino a quando ne e caduto vittima, sull'onda delle peggiori tradizioni del suo pur grande paese.
A chi giova dunque il suo assassinio? Certo non giova alla sinistra americana, ne al movimento negro, ne al movimento di liberazione sud-americano, ne al movimento democratico europeo. Giova solo alia destra americana, come giova alia nostra destra indigena: con lodevole franchezza ne ha dato ieri singolare prova il clerico-fascista Tempo, presentando la politica di Kennedy come una serie di errori e ingenuità nefaste.
La mano della destra estrema e riconoscibile perfino nell'immancabile tentativo di provocazione anticomunista che si tenta ora di imbastire attorno alla strana figura del presunto attentatore. Che sia o no questo giovane il vero colpevole è difficile dire, tanto approssimate e contraddittorie sono le indicazioni. Certo non si può escludere che si tratti di uno squilibrato isolato. Collegare però il suo gesto omicida a un orientamento di sinistra – come fonti poliziesche locali e dati biografici cuciti su misura vogliono far credere - è fuori di ogni logica politica, può solo rispondere a una montatura.
O dunque si brancola nel buio e si vuol costruire una versione qualsiasi, oppure c'è qualcosa di assai più grave: se infatti questa montatura prendesse piede e venisse accreditata dai dirigenti responsabili degli Stati Uniti, ciò rivelerebbe una manovra politica a largo raggio tendente a scatenare un'ondata di reazione, a spostare Passe della politica interna e estera americana, secondo un piano da tempo prestabilito e una provocazione lungamente organizzata.
Se cosi fosse, si avrebbe una conferma di quanto possa la mala pianta della reazione militarista e fascista. L’auspicio è che il gruppo dirigente americano sia capace di reagire, impedendo che dalla scomparsa di Kennedy discendano tutte le negative conseguenze che altri vorrebbe. L’impegno nostro e del movimento popolare e democratico del nostro Paese è, in ogni caso, quello di rafforzare la propria lotta e la propria unità contro ogni nuova minaccia che si profili contro la causa della democrazia e della pace.
Luigi Pintor - da l'unità del 24 novembre 1963
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