Qualche parola
su di noi
... perchè la memoria si mantenga viva e alimenti il presente
“Come da un osservatorio astronomico si guarda il cielo, così dalla mia postazione mi affacciavo su un grande scenario e credevo di partecipare al moto degli astri mentre sedevo a una macchina da scrivere. Era un tempo in cui le passioni oscuravano lo spirito critico e in cui capitava di confondere la passività con l’azione. Ma erano passioni sincere, nobilmente iscritte nella gigantesca cornice della storia, dello scontro di opposte civiltà, del conflitto incomponibile tra le classi. Era semplice e giusto stare da una parte.
Raggiunsi un giorno con mezzi di fortuna una campagna dove dei braccianti erano morti poche ora prima uccisi dal fuoco della polizia, con una brutalità frequente a quel tempo. In una stanza simile a una grotta imbiancata i corpi erano vegliati da donne in pianto, avvolte in scialli neri come le mie zie e cugine sarde. Non ci fu per me alcuna differenza tra quello spettacolo e la memoria ancora viva della guerra, nessuna differenza tra i colpevoli altolocati di quel delitto di paese e la filosofia del privilegio che aveva incendiato il mondo. Non era quello un episodio ma un simbolo. Ci sono due mondi, quei morti appartenevano al più degno ed erano miei fratelli….”
Così scrive Luigi Pintor in una pagina di “Servabo”. Sì, ci sono fatti ed eventi che quando arrivano alla coscienza diventano verità e allora cambiano la vita.
Quarant’anni fa, una straordinaria stagione di lotte e di pensiero critico coinvolse migliaia e migliaia di persone: giovani e donne, intellettuali e operai, professionisti e commercianti, sindacalisti e politici. Molte coscienze furono poste di fronte all’egoismo, all’ingiustizia e alla crudeltà del mondo e una parte di esse dette vita in un modo o nell’altro ad esperienze uniche ed irripetibili. Si formò tra gli altri un peculiare gruppo di intellettuali comunisti che unendo passione e sapere creò prima una rivista poi un quotidiano, poi una formazione politica. Era “il manifesto”.
La passione di allora, quella coscienza risvegliata e quelle verità riscoperte, un modo diverso di essere comunisti, ci portano oggi a salvare e salvaguardare quella storia e quella creatura che pur in povertà, pur con mille acciacchi è ancora in piedi.
Non si tratta tanto di salvare e salvaguardare Il suo corpo, quando il suo spirito, quello spirito critico e innovativo che ha attraversato pur con alterne vicende, quarant’anni della nostra storia.
Ecco il perché della “Fondazione Luigi Pintor” e di questo sito. La Fondazione è a lui titolata perché fu lui il primo direttore del quotidiano. Ma con Pintor ci sono tutti gli altri, noti e meno noti. Certo siamo ai primi passi e vorremmo farli con voi ovvero tutti quei ragazzi , anche se un po’ ingrigiti e appesantiti, che non hanno mai dimenticato di essere i magnifici ribelli degli anni sessanta. E vorremmo farli anche con i giovani di oggi, perché la memoria si mantenga viva e alimenti il presente.
Il sito non è ancora completo ma si tratta di un lavoro in progress, come è in divenire anche la Fondazione cui chiediamo di iscrivervi (tra parentesi, gli iscritti nei primi 60 giorni saranno i soci fondatori) e di donare il 5x1000. La Fondazione ha anche uno statuto che troverete in questa pagina assieme ai moduli per aderire e ad altre informazioni.
Nell'editoriale del primo numero del manifesto rivista (1 giugno 1969) dal titolo "Un lavoro collettivo" era scritto: "La via che le cose stesse suggeriscono è quella di una dialettica aperta all'interno di tutto il movimento, di un massimo di circolazione di idee, per modeste che siano, di un più vero lavoro collettivo, senz'altra limitazione che quella imposta dalla responsabilità e dalla coscienza di ciascuno. Una via da percorrere ritrovando tutto il senso della politica, al di fuori dei condizionamenti tattici e degli equilibri di potere, senza cedere allo scoraggiamento per la disparità tra i compiti che si affrontano e le forze di cui si dispone"
Parole e intenti ancora e forse più che mai attuali, che ci spingono a riprendere il largo. Non si tratta di riproporre il passato, ma di non perdere la speranza nel cambiamento. Oggi a differenza di ieri, abbiamo potenti mezzi tecnologici di supporto che permettono il massimo di circolazione di idee e un vero lavoro collettivo. Abbattiamo i muri del pensiero unico e dell'autoreferenzialismo .... il futuro ha bisogno di coralità e fantasia.
Un grande abbraccio e buon lavoro
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