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da  del 31 maggio 1983

 

INTERVISTE  SULL'ASTENSIONISMO: LUIGI PINTOR

 "Sì a me piace l'Araba Fenice; c'è qualcuno che offre di meglio?"

 

di Ferdinando Adornato

 

 

Enrico Berlinguer ha detto in televisione che è lui il più bravo giornalista Italiano e Luigi Plntor risponde con un sorriso: «E'  un giudizio genti­le». Poi un lampo di malizia negli occhi gli fa ricordare che a lui la vanltà  non piance e allora aggiunge asciutto: «Forse l'ha detto con qualche rammarico per come sono andate a finire le cose quand’ero condirettore del tuo giornale». E, visto che c'è. in­siste: «Questa è la prima vol­ta che l’Unità mi intervista. Non parlo sul giornale dove ho lavorato vent’anni,  da quel dicembre del 1969».

Quattordici anni. Quattro elezioni  politiche. Cinque re­ferendum. La solidarietà na­zionale. Moro. Il terrori­smo... Sono stati lunghi anni di polemica. Lunghi e decisi­vi anni per la sinistra. E sem­brano anni-luce quelli che cl separano dalla nascita del Manifesto, da quel progetto, da quelle Idee che volevano cambiare la sinistra. Intanto è cambiata l'Italia, ma Pintor è sempre li.

Le sue polemiche l'hanno reso famoso anche al grande pubblico e gli hanno addirit­tura guadagnato un posto nella recente storia della Let­teratura Italiana di Angelo Guglielmi. Corsivi fatti di meditazioni a ragnatela, di accerchiamenti linguistici e poi di improvvisi scatti ner­vosi. Plntor è identico al suoi corsivi. Fa parte di una gene­razione insieme razionale e combattiva abituata a non tirarsi mai  indietro. Per la sua generazione la parola sfiducia è come una parola straniera, della quale tenere conto ma solo perché in poli­tica è sempre meglio cono­scere le lingue. Capisco che iI 26 giugno Pintor voterà PCI,  ma lui ancora non lo vuole dire. Come e perché votare lo scriverà, come sempre, sul Manifesto: «Sai, mi pare più giusto, fin da piccolo sono stato abituato alla disciplina di partito o di giornale»-..

Dopo Stefano Rodotà, Gian­franco Pasquino, Alberto Asor Rosa, concludiamo con lui iI nostro breve viaggio sulla sfiducia e sull’astensionismo.

 

Pintor, come si trova uno della tua generazione  in questa Italia dove la pa­rola sfiducia sembra essere diventata una parola d'or­dine?

Si può ben essere sfiducia­ti o stanchi, ma non è una buona ragione per tirarsi in­dietro. Vedi, non è che la mia generazione (o almeno io) abbia seguito certe strade per vocazione personale. A quel tempi ho visto morire troppi miei coetanei, perché potessi considerare quella parte della mia vita come una parentesi da chiudere. Eppoi, è vero che l'Italia è molto cambiata, ma la socie­tà in cui viviamo continua a fare discretamente schifo. E allora, a cosa bisognerebbe rassegnarsi? A scegliere tra Reagan e Andropov, tra Jaruzelskl e Glemp, tra Fanfani e Carli? In mezzo c'è la gente, un’umanità diversa, sogni, domande. idee pos­sibili ... Se non c'è questa fi­ducia, o speranza, meglio le­garsi una pietra al collo e buttarsi a mare   

Insomma, la società è molto meglio delle istitu­zioni che la rappresenta­no 

No, non è così semplice. Nella società serpeggiano istinti terribili, spinte all’au­todifesa selvaggia. indivi­duale e corporativa, vecchi vizi nazionali, leccare le scarpe al più forte, mettere i piedi in testa al più debole, farsi gli affari propri e non credere a nessun valore. Conta la propria libertà: ma evviva le leggi speciali, fin­ché riguardano altri. Conta il proprio privilegio: e vada al diavolo la riforma sanita­ria, se ho i soldi per curarmi da solo. L’immagine delle città è di violenza, particola­rismi, solitudine che diventa aggressività. No, la questio­ne non è semplice, c’è un rapporto di reciprocità tra  istituzioni e società. Ma iI peggio, è vero, è sempre in alto.

Tre anni fa in una assemblea al Lirico di Milano hai detto: «Bisogna rico­minciare ad affermare dei princìpi. Quando ero giova­ne mi sentivo ripetere continuamente che se uno cede sui princìpi è fottuto». E questo era giusto. Siccome molti prìncìpi sono caduti non bisogna pensare che non ce ne siano più di validi. La situazione è ancora questa?

Credo di sì, la radice del disorientamento e quindi della sfiducia sta qui. L’immagine che offre di sé chi detiene iI potere è vuota e inerte, come una maschera teatrale. Se fossi Natta, che sa il latino, direi: "O quanta species, cerebrum non habet!", tutta retorica e niente sostanza. Non penso solo al partiti, ma anche agli intellettuali.

Perchè gli intellettuali?

Perché si impegnano in dichiarazioni e fiancheggiamenti, ma galleggiano volentieri sullo stato delle cose, gelosi e prigionieri delle proprie prerogative. Non mettono mal in discussione se stessi, e perciò glossano la realtà ma non producono nuova cultura. Come casta, intendo, non come individui. Così non si cambia nulla, non si esce dal «quadro dato».

E qual è il quadro dato»?

Quello di categorie culturali che non servono più a orientarsi nel mondo che ci circonda, e quello di un mondo politico che fatica a ritrovare consenso. Non credo che si combatta l'astensionismo giovanile, per esemplo, con appelli o allarmi, troppo slmili alle tecniche che usavano i preti accompagnando le vecchiette alle urne. Da noi si vota ogni anno: ogni anno dobbiamo fare lo stesso appello? No, bisogna uscire da questa angustie.  

E tu cosa suggerisci? 

Bisognava molto prima, bisogna adesso, e bisognerà poi, fare tutti i conti col problema cruciale del nostro tempo: non solo i vecchi miti, ma tutti i grandi modelli di organizzazione sociale sono caduti, lasciando un vuoto ideale e politico che è lungi dall’essere colmato. Finché dura questo vuoto (relativo, si capisce), le forze politiche non possono pretendere dalla gente una delega fiduciosa e convinta: in nome di che e per far che? Nessuno chiede la luna: ma se non prendono evidenza nette discriminanti ideali e programmatiche, se ai miti contrapposti e trascinanti del passato si sostituisce un paesaggio politico indistinto, immagini omologate, e i partiti decadono a pure macchine elettorali, allora vien meno la ragione o la voglia di schierarsi.

In queste elezioni, però, tornano a fronteggiarsi due schieramenti precisi...

Sì, una politica di alternativa, meglio un’idea di alternativa, apre un nuovo scenario. Ma temo, anche se spero di no, che sia ancora troppo giovane. Il terreno elettorale sembra magari il  più favorevole a un risveglio e a una mobilitazione, ma è invece il  più scivoloso. Nessuno è più convinto di me che c’è in vista un pericolo, non una minaccia di golpe ma una rivincita di destra; il centrìsmo è in Italia la forma politica che garantisce il massimo di dominio borghese e antioperaio. L'idea poi di essere governato da un banchiere, per conto di una palude democristiana, mi fa rabbrividire. Ma questo, che è un giudizio politico, in fase elettorale sembra magari propaganda. Sempre gli schieramenti si rad leali zzano in fase elettorale, poi ricomincia il  pasticciaccio.  

               

C’è poco tempo, per convincere che questa volta non è così!  E tu come lo useresti  questo tempo?   

Comincerei con un forte accento autocritico, un discorso di verità: spiegherei i ritardi, le oscillazioni degli ultimi anni. Parlo del PCI, e della sinistra...

Certe volto si ha l’impressione che per te la parola autocritica sia una specie di passepartout...

Hai ragione, è una brutta parola che evoca brutte cose. Ma una riflessione su se stessi, una verifica costante, non solo è obbligatoria ma e una dimostrazione di grande forza. Bisogna cancellare il sospetto che la politica sia solo una tecnica di manipolazione. Se c’è una disaffezione della gente per la politica, è perche alla politica hanno cominciato a non crederci per primi i partiti, riducendola a una professione, subordinando i princìpi alla tattica e alle convenienze, smarrendo un rapporto autentico con la società.

 Vuoi essere più preciso? Cosa dovrebbero fare i partiti ?

 Lasciamo stare i partiti in generale, a me sta a cuore la sinistra, che vorrei «alternativa» In ogni senso: nelle idee che la animano, nelle proposte che fa, nel modo di essere. Vuol più concretezza? Provo a fare qualche esempio. Cominciamo dalla presenza in parlamento, visto che il voto popolare va a finire lì. Ti pare che ci sia proporzione tra la forza comunista in parlamento e il peso che riesce a esercitare? Non penso con nostalgia alle grandi battaglie del passato, patto atlantico,  legge truffa, ma all’iniziativa legislativa: abolita, morta. Ho un chiodo fisso. Il sistema fiscale: non è semplicemente «ingiusto», è il  più spettacolare rivelatore del modo di governare l’economia e la società.  In questo paese. in Italia non c’è evasione fiscale, c’è una esenzione fiscale tecnicamente autorizzata per i ceti medio-alti. una fascia di alcuni milioni di persone che possiedono metà della ricchezza nazionale e pagano per un decimo. Ho guardato quanto costa il bollo di circolazione di un Caravan: 60 mila lire. Due mesi di autobus di un comune mortale. La voragine del deficit statale, da cui senti dire che dipende il destino della nazione, potrebbe essere colmata quasi solo dal lato delle entrate, ma non c’è tavola rotonda di esperti, barba di economista,  che abbia anche solo l’onestà intellettuale di partire da qui. Ignobile. Perché non se ne fa in parlamento una priorità assoluta. una pregiudiziale per qualsiasi «governabilità», la ragione di un «ostruzionismo costruttivo»? Guarda i padroni, come hanno preso di petto la scala mobile... Non serve dirsi diversi, serve esserlo, nella concezione stessa e nell'uso della politica, e anche nell’immagine...

Ma secondo Pintor l’immagine non è figlia dei contenuti?

Immagine e contenuti sono interdipendenti... Oggi In televisione, o sul glomall, sfila un personale politico che si somiglia in modo impressionante nel linguaggio, nello stile, appunto nell’immagine. Chi sta dentro questo gioco non può capire quale messaggio frustrante e dannoso trasmette alla gente.

Non dirai che Longo è uguale a Craxi o  Berlinguer  ...

No, no, non vorrei che sembrasse un complimento ricambiato, ma Berlinguer ha una personalità che non si confonde. Se gli viene attribuita quella tristezza che lui smentisce è proprio perché non ha la faccia compiaciuta, bugiarda e maflosetta della grande schiera dei politicanti.  Ma non mi riferivo a persone singole, bensì a uno stile politico. Non si può partecipare tutti alle stesse esibizioni, tutti da Costanzo, tutti da Scalfari... Alternativa e subalternità non si combinano.

Insomma, torniamo al passato: ciascuno sotto le sue bandiere, ciascuno sotto le sue testate..

Ma no, bandiere e sigle sono solo surrogati di una identità. Sto cercando di dire che una politica di alternativa ha bisogno di forte autonomia, connotati inconfondibili, guadagnarsi nuovi spazi, non certo chiudersi in vecchi recinti. Parli di testate: mi spieghi perché la sinistra, con tutto quello che è successo in questi anni nelle nuove generazioni, non ha mai pensato di fare un grande giornale di cultura giovanile? Ti sembra fatale che l’opinione di sinistra in Emllia graviti attorno al «Resto dei Carlino», e quella nazionale attorno alla «Repubblica» demitiana? Alternativa dovrebbe voler dire contenuti. immagini, ma anche inventiva, invenzione di strumenti specifici.

Non ti sembra di volare troppo alto sulla realtà?

Ma allora è Inutile porsi il problema delle schede bianche, che poi è il problema della partecipazione,  partecipazione democratica, un problema che bisogna cogliere in tutta la sua dimensione, non solo in quella elettorale che ne è solo la coda. Non si può affrontarlo volando bassi. Un altro esemplo: il  programma. Oggi si sentono solo due parole: rigore e sviluppo. Un massimo di astrazione e un massimo di economicismo, non siamo un paese ma un’azienda. O documenti smisurati  o un’elencazione piatta di cose da fare. Ma quali priorità, per quali rapporti sociali, con quali lotte, quali alleanze, per quale prospettiva? Non dico che sia facile, dico che non se ne può fare a meno, se no è il trionfo delle nebbie interclasslste. Guarda,  penso sia meglio un programma d’attacco e qualche voto di meno, che II contrarlo.

Insomma, meglio buoni che molti. Non è un programma minoritario?

Obiezione scontata, non ho detto questo. Quantità e qualità non sono due opposti, l’egemonia non è solo numero. Forse che, dopo il '76 il PCI non ha risentito proprio delle ambiguità e della eterogeneità del voto che ha raccolto? Da una parte la spinta alternativa del referendum e di molte altre cose, dall’altra l'idea del compromesso... Una cosa è la mediazione, un’altra la confusione. La DC è maestra di mediazione, ma sa bene a favore di chi e contro chi... Ma la sinistra, poi, è per sua natura forza di cambiamento, di grandi opzioni, di scelte liberatrici: e niente astensionismo a sinistra, sta sicuro, se le cose andranno finalmente In questa direzione.

Pensi invece che  il  26 giugno (1983) ce ne sarà?

Non credo, la minaccia democristiana è troppo forte e anche repugnante. Comunque penso che ci sarà meno astensionismo «impegnato». Anche i radicali hanno fatto solo una mezza scelta. La presenza di schieramenti contrapposti aumenta l’intensità della competizione. Ma insisto: il  problema non si esaurisce il giorno del voto, sta tra una elezione e l’altra. È lì in mezzo che i partiti languono e la gente si allontana. C'è un tappo sulla vita democratica, tutti aspettiamo che prima o poi salti, ma non salterà da solo.

 



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