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Luigi Pintor
Il nespolo
"Il vecchio è consapevole che vivere di ricordi, come si dice, equivale a morire blandamente. Ma così va a finire perché non c'è scelta. Può sembrare un abbandono volontario ed è invece una legge di natura. Vengono meno le energie, gli stimoli, gli scopi."
di Grazia Casagrande
Quasi imprevedibilmente Pintor ha pubblicato un altro libro ad arricchire (forse a concludere) quella speciale autobiografia aperta con Servabo e proseguita con La signora Kirchgessner. Qui è Giano il centenario, il vecchio stanco e lucido che fa rivivere, con la forza delle emozioni più fresche, il passato, l'uomo che si considera quasi un sopravvissuto, un'anomalia della vita se i figli, ancora giovani, ancora carichi di energia e desideri, sono morti. Nelle vicende storiche e nella politica, per cui ha speso tanta passione, sacrificandovi anche molto della sua vita privata, gli appaiono oggi solo i segni della sconfitta e in più sembra trattenuto (a fatica però) in lui lo spirito combattivo, quasi annullata la voglia di scrivere, riaccesa solo da eventi particolari, davanti ai quali non si può non indignarsi: nel periodo della guerra in Kosovo, ogni giorno si poteva infatti leggere sul "suo" giornale un articolo infuocato.
Ma tanta amarezza, tanta stanchezza, lasciano spazio ai ricordi, aprono la mente a riaccendere momenti, parole, visi, pensieri che sembravano sepolti sotto il peso degli anni. La grande casa di famiglia, il mare di Sardegna, i figli piccoli e le tenerezze dell'infanzia, l'ammirata figura del fratello e le tante, troppe, morti che hanno scandito la vita di Giano: e perché dovrebbe desiderare un futuro, perché nutrire speranze o sogni? L'obiettivo unico è raggiungere la piena consapevolezza, lucida e impietosa del fallimento, senza lamenti o pianti, senza neppure pentimenti(rivivrebbe tutto, rifarebbe tutto se mai potesse tornare indietro), senza sentirsi un maestro, ma con l'orgoglio della coerenza.
Nel riaffiorare del passato, emergono anche momenti bellissimi, musiche, luci e colori indimenticabili, visti e sentiti nell'infanzia o nell'adolescenza, quando i sensi sono più vigili e permeabili.
Nei tre anni (la scansione del libro è data dai nomi dei mesi) in cui Pintor prende "appunti" dei suoi pensieri e delle sue riflessioni, gli eventi più importanti sono le due morti dei figli. Il primo a lasciarlo è il minore, poco più che quarantenne, una vita complessa alle spalle, un presente generoso che la morte spezza in una città di frontiera, poco amata e rimasta sempre estranea: questa è la ferita che colpisce il padre in modo brutale, senza speranza di lenimento. Dopo non molti mesi anche la figlia, donna attiva e forte, muore improvvisamente. L'eccesso di dolore porta alla sensazione di avere smarrito ogni senso, ogni logica, di essere vissuto troppo, di avere pagato troppo: eppure questo libro è, non so bene per quale motivo, il meno "negativo" dei tre della involontaria autobiografia di Pintor, quasi rasserenato da una superiore leopardiana (forse non sono un caso le frequenti citazioni del poeta) disperata grandezza, gravido di ironia e di sarcasmo.
La parola tanto musicale e poetica in La signora Kirchgessner, qui si fa paradigmatica; le frasi brevi, quasi aforismi carichi di umiltà e tutt'altro che sentenziosi, sono spunti di riflessione o conclusioni che rimandano a pensieri elaborati in silenzio e in solitudine. È la solitudine appunto la dimensione in cui grandeggia questo Giano centenario che ha riscoperto la forza degli affetti familiari, ed è affranto dall'averli in giovinezza dati per scontati e dall'aver perso forse qualche irripetibile testimonianza d'amore. Così il ripetutamente affermato bisogno di distanza, il ritrarsi dalla vita, l'impotenza davanti al destino danno davvero di lui un ritratto di amara consapevolezza, ma anche di inspiegabile pace interiore che non vuole raccontare, agli altri e a sé, più favole, ma sa vedere la bellezza che, nonostante tutto, si può ancora cogliere nella purezza di un sorso d'acqua o nella limpidezza di un ruscello.
Il nespolo di Luigi Pintor
Pag. 118, Lire 18.000 - Edizioni Bollati Boringhieri (Variantine)
ISBN 88-339-1311-2
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1997
Giugno
Giano ha cento anni e ha deciso di sedersi sotto un nespolo a contare i giorni senza più cedere alle tentazioni mondane. Gli sembra una decisione assennata e adeguata alle circostanze. Non farà nulla e lascerà vagare i suoi pensieri come nuvole oltre il fogliame.
L'estate è una stagione che favorisce questa disposizione d'animo. I castagni e i faggi delle colline sono più ombrosi di un nespolo ma la preferenza di Giano per quest'albero gramo dipende dal fatto che ne aveva uno nel giardino di casa. Tra i suoi rami fioriscono ricordi più gradevoli di tutto il resto.
È strano che il vecchio sia sopravvissuto a se stesso pur essendo un fumatore accanito. Da bambino comprava sigarette pestilenziali dai soldati che le avevano in dotazione e le rivendevano a basso prezzo. Oppure riciclava i mozziconi del padre ripulendo i portacenere. Nei periodi di magra utilizzava foglie secche tritate e semi di papavero.
All'anagrafe non risulta che Giano sia così attempato e anche i suoi conoscenti ne dubitano trovandolo stralunato ma in buona salute. La parola di un gentiluomo vale tuttavia più di un certificato di nascita e va rispettata.
Molti dei suoi anni li ha vissuti chiuso in una stanza a scrivere sui giornali contro qualcosa o qualcuno. Era per temperamento e per mestiere un polemista (un bastian contrario, come si dice dei bambini indocili). Quel che faceva non serviva a nulla ma a lui sembrava di grande importanza e a quel mestiere rivoluzionario era dedito completamente. Fantasticare o scrivere senza scopo sotto un albero serve invece a fumare meno sigarette.
Un famoso romanziere usava un bocchino lungo quaranta centimetri per evitare il fumo negli occhi. Ma Giano fa uso di sigarette affusolate più sottili della norma e non esiste in commercio un bocchino di quel diametro. Bisognerebbe cercarlo in qualche bazar cinese.
Il vecchio non è mai stato in Cina e non ha intenzione di andarci per così poco. Oggi non sarebbe, com'era una volta, un viaggio nell'oriente misterioso. I paesi sono diventati bazar tutti simili tra loro. Non sarebbe come avventurarsi alla scoperta delle sorgenti del Nilo o delle rovine di Troia. I pochi viaggi che Giano ha affrontato in vita sua sono stati quasi sempre deludenti, senza le sorprese che si aspettava, come se già conoscesse i luoghi visitati e le persone incontrate. Una volta gli capitò di mangiare un occhio di montone alla mensa di pastori asiatici ma è l'unica avventura che può raccontare.
Colpa o merito del cinematografo questa perdita della meraviglia, della sorpresa, della rivelazione inattesa di cose ignote. Già da bambino, nel buio di un cinema di provincia, aveva girato il mondo con la fantasia, dalle foreste tropicali ai deserti africani, dai ghiacci polari ai grattacieli delle metropoli, al prezzo di settantacinque centesimi. Fu come vedere anzitempo il futuro in una lanterna magica.
Al ventesimo secolo si può perdonare tutto, anche le due guerre mondiali e quelle successive, anche le sfilate di moda e le corse di formula uno, ma non il peccato di aver sacrificato il cinematografo alla televisione. È codesta una scatola vuota che mostra il mondo piatto come una lavagna e non distingue una scena di guerra da una partita di calcio. Tra i due schermi c'è la stessa differenza che passa tra il calore di un camino e un frigorifero spento.
A dir poi tutta la verità anche gli spaghetti conditi col salmone e il finale della Nona sinfonia come sigla pubblicitaria non si possono perdonare.
Luglio
Giano aspetta una cattiva notizia e non riesce a sgombrare la mente da questa attesa neanche all'ombra del nespolo. Non è una felice condizione. Ascoltare musica sarebbe un buon rimedio ma all'aria aperta i suoni si disperdono e in città c'è un tale frastuono che anche la musica diventa un rumore in più. I suoni vorrebbero per sé un silenzio e uno spazio che non si trovano da nessuna parte e che non si possono ritagliare infilandosi una pulce nell'orecchio.
Il signor Chasterton, uomo di spirito, provava un moto di rispetto per il genere umano solo quando apriva un orario ferroviario. Un'orchestra classica è intricata come un orario ferroviario ma è di certo più bella e merita più che rispetto.
L'occhio aiuta l'orecchio e bisogna osservare con animo partecipe gli esecutori e i loro magici strumenti che compiono il miracolo. In alto a destra sul proscenio di una sala di paese una ragazza molto graziosa suona il fagotto e viene da chiedersi la ragione della sua scelta.
Forse lo suonava suo padre o magari sua madre (improbabile) o perfino il nonno: una tradizione di famiglia. È uno strumento che si presta alla musica da camera ma anche ai concerti per banda che si ascoltano d'estate nelle piazze di paese.
© 2001, Bollati Boringhieri editore
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