Esce in questi giorni "I luoghi del delitto"
racconto riflessione sul tema della morte
Il giornale intimo di Luigi Pintor
di SIMONETTA FIORI
Soltanto la scrittura sobria di Luigi Pintor poteva dare misura e compostezza a un evento così scomposto - e letterariamente insidioso - come la morte. In ideale continuità con la trilogia che la precede, anche questa nuova confessione in forma d'elegia - in uscita da Bollati Boringhieri con il titolo "I luoghi del delitto", da domani alla Fiera del Libro di Torino, un libro tra i più attesi della rassegna - prosegue un tema che attraversa tutta l'opera di Pintor, forse anche la sua stessa storia famigliare. A cominciare da quell'ultima lettera che volle indirizzargli - poco prima di saltare su un mina tedesca - il fratello Giaime. "Lascia che i morti seppelliscano i morti", gli scrisse in un appello rimasto inascoltato.
"Sarebbe meglio che i morti seppelliscano i morti", ripete ora Luigi sapendo che non è così. La condizione di sopravvissuto è una sorta di cifra esistenziale (soltanto sua?). Sopravvissuto con sofferenza ai suoi due figli. E a un paesaggio politico ormai desertificato. In questo nuovo giornale intimo, magistralmente intessuto di echi letterari anche classici (tra i tanti Cecco Angiolieri), il "vivente abusivo" si mostra come sfinito, in disarmo.
Alla stregua dell'eroe troiano che, dopo aver sfidato l'ira funesta degli achei, ha dietro di sé soltanto cenere e macerie - "e di un soffio di vento e di un suono ha paura" - così il protagonista, dopo aver guerreggiato a lungo contro le avversità, ora s'arrende - "e di un soffio di vento e di un suono ha paura". La scrittura rimane l'atto supremo di salvezza.
Nascosto dietro la maschera di un archivista di mezz'età, l'autore finge di apprendere la notizia che nessuno vorrebbe mai ricevere. "Il medico curante mi ha detto che ho pochi mesi di vita" (così l'incipit del racconto).
Ma Martin - questo il nome dell'io narrante, solitario e coraggioso come Martin Eden - ne prova quasi sollievo. "Per me non è stata una sorpresa. Adesso so come comportarmi". Inevitabile s'impone il confronto con l'aldilà, mai disperato né falsamente cinico, ma rischiarato da una sorte di fiducia laica, propria del Giusto di fronte al mistero della morte. "Penso che la morte mi condurrà dov'ero, cioè da nessuna parte.
Ma questo cielo notturno mi seduce e mi fa credere per un momento in un aldilà dove si possono capire le cose incomprensibili dell'aldiqua". La morte come passaggio rivelatore, chiave segreta per risolvere il rompicapo della vita. "Un labirinto dove c'è l'uscita. La sfinge che sbroglia da sé l'enigma. I misteri dell'esistenza terrena svelati al poveruomo che in vita sua ne cercò invano la chiave".
Ma la risposta, tra le mille risposte, che egli confida di trovare nei Campi Elisi non appartiene alla scena pubblica, pure sempre presente tra guerre dissennate, grattacieli in fiamme, città violate come Gerusalemme, la Genova insanguinata del G8 "una mattanza trasmessa in mondovisione", regimi vecchi e nuovi nei quali la musica è sempre la stessa "e mi rallegro d'esser sordo". La risposta più importante che Martin-Pintor attende è quella rassicurante dei suoi due bambini, messi al mondo a vent'anni "perché volevo dimenticare la guerra".
Figure ricorrenti anche nei precedenti diari di Pintor - perché "scrivere serve a materializzare illusoriamente un mondo che non c'è più" - qui appaiono cristallizzate in un alone di mito, come la giovane donna incenerita in una spiaggia abbagliante e il bambino inghiottito dal mare in un piccolo porticciolo del Nord. Creature oniriche, sono elevate a simbolo nelle pagine che danno il titolo al racconto, I luoghi del delitto. "Delitto che non ho mai commesso ma che non ho impedito", ripete Martin come in un laico confiteor verso l'intera umanità.
A tratti paradossale, sottratto alle maiuscole come scelta di stile, l'apologo di Pintor non rinuncia al registro sarcastico e a quella sua malinconica ironia che pervade anche la scrittura di Servabo, La signora Kirchgessner e Il nespolo. "Il dottor basilio ha scelto male il momento ed è morto ieri alle ore quattro e venticinque del mattino per un colpo apoplettico". Ha scelto male il momento perché "al settimo piano dell'ospedale dov'è finito tutti guardavano la guerra mondiale in televisione".
Martin va al capezzale del medico curante, che gli racconta molte più cose di quanto se ne aspettasse. "Che non gli dispiaceva morire perché ne aveva viste abbastanza e lasciava il divertimento ai posteri. Che tre mesi o un giorno o un anno sono la stessa cosa. Che perfino una camera ardente è meglio d'un campo di battaglia". Uno sdoppiamento o un'identificazione?, si domanda il protagonista mentre esce dalla stanza. "Me ne sono andato con la sensazione di avere avuto una conversazione con me stesso".
Più tardi scoprirà che il dottore - nel comunicargli la grave diagnosi - aveva esagerato: non era un malato terminale. Ma Martin, della differenza, quasi non s'avvede. "La linea divisoria tra essere e non essere non mi interessa perché non sono un principe danese". Se c'è una morale in questa storia, è che solo chi ama la vita difendendone purezza e dignità può scrivere un'opera come I luoghi del delitto. Lo confessa - alla sua maniera paradossale - lo stesso Pintor quando rivela: "Diventare un idiota era la mia aspirazione di adolescente, che per i greci voleva dire stare in disparte con innocenza. Se proprio dovevo crescere mi sembrava il miglior modo. Invece uno stupido si impiccia di tutto senza capire nulla e mio malgrado ho preso questa strada". E di ciò i suoi lettori - anche per questo nuovo libro - non possono che essergli grati.
(14 maggio 2003)
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