SERVABO
«Scritta sotto il ritratto di un antenato mi colpì, quand’ero piccolissimo, una misteriosa parola latina: servabo. Può voler dire conserverò, terrò in serbo, terrò fede, o anche servirò, sarò utile». Queste parole, che spiegano il titolo del libro, riassumono anche il significato di cinquant’anni di vita, raccontata «per riordinare nella fantasia dei conti che non tornano nella realtà».
Omaggio a mezzo secolo di storia che volge al tramonto, quest’autobiografia rivela un volto dell’autore che ai più risulterà inedito: perché è quello di un uomo per il quale la politica è innanzitutto un’esperienza etica profonda e il riflesso di un’intensità intellettuale e umana che poteva esprimersi (come qui si esprime) anche col linguaggio di una scrittura letteraria di rara qualità.
Dai ricordi della prima giovinezza all’esperienza della guerra, che ha deciso del suo futuro e formato il suo modo di agire «politico»; dagli entusiasmi alle prove più dure anche della vita privata, la sorvegliatissima confessione dell’autore, particolarmente difesa col pudore e quasi col silenzio proprio là dove ci aspetteremmo la rivelazione di fatti che hanno avuto una grande incidenza pubblica, ci offre il ritratto di un uomo sempre fedele a se stesso e portato a filtrare con l’orgoglio dell’ironia le riuscite e le sconfitte.
Stefano Benni:
«Vede, io non ho la serenità feroce che aveva Luigi Pintor, quella sua capacità di dialogare e di convincere. Non c' è un Pintor oggi in Italia, non c' è nella sinistra e forse in tutto il giornalismo. Abbiamo perso tutti qualcosa di importante, qualcosa di unico».
Com' è stato il suo rapporto personale con lui? «Un rapporto di grande rispetto e ironia. La voce di Luigi mi torturava e mi spronava: "taglia, Benni, taglia"... A lui bastavano trenta righe per dire quello che io dicevo in ottanta. E poi è stato anche un grande scrittore. Anni fa mi chiesero di scrivere un pezzo di presentazione per Servabo e rifiutai: è bellissimo, dissi, ma davvero non saprei cosa scrivere. Oggi sì, potrei farlo, perché rileggendolo - quel libro di Pintor - l' ho trovato ancora più vero e intenso, mi piace ancora di più. Questo è il segreto dei libri. Continuano a parlare con voce diversa, più profonda, e soprattutto leale, perché sono firmati pagina per pagina. E' il loro tempo, la loro strana età. Che età ha un vecchio libro in mano a un ragazzo? E un libro di favole in mano a un vecchio? E intanto le bugie dei tiranni, e le loro parole trionfanti svaniscono, e sbiadiscono».
Un capitolo del libro:
Lo scenario
Come da un osservatorio astronomico si guarda il cielo, così dalla mia postazione mi affacciavo su un grande scenario e credevo di partecipare al moto degli astri mentre sedevo a una macchina da scrivere. Era un tempo in cui le passioni oscuravano lo spirito critico e in cui capitava di confondere la passività con l'azione. Ma erano passioni sincere, nobilmente iscritte nella gigantesca cornice della storia, dello scontro di opposte civiltà, del conflitto incomponibile tra le classi.
Era semplice e giusto stare da una parte. Raggiunsi un giorno con mezzi di fortuna una campagna dove due braccianti erano morti due giorni prima uccisi dal fuoco della polizia, con una brutalità frequente in quel tempo. In una stanza simile a una grotta imbiancata i corpi erano vegliati da donne in pianto, avvolte in scialli neri come le mie zie e cugine sarde. Non ci fu per me una grande differenza tra quello spettacolo e la memoria ancora viva della guerra, nessuna differenza tra i colpevoli altolocati di quel delitto di paese e la filosofia del privilegio che aveva incendiato il mondo. Non era quello un episodio ma un simbolo. Ci sono due mondi, quei morti appartenevano al più degno ed erano miei fratelli.
Era giusto stare da una parte anche quando non era così semplice. Feci un altro viaggio nell'oriente leggendario dove uomini inferiori, soldati e operai, avevano vinto la loro rivoluzione, per la prima volta nei millenni. Più di altri cattivi segnali, che imputavo alla durezza della storia, mi colpì che nelle strade di quelle città le prostitute si scaldassero al fuoco come nelle nostre periferie. Non mi meravigliò che la gente fosse rimasta in povertà ma che avesse dimenticato la fraternità. Non cesserò di pensare che i mondi sono due ma imparerò che la linea divisoria non è segnata su nessun atlante e passa fin dentro il cuore dell'uomo. Stare da una parte diventerà più complicato ma più necessario.
Era giusto stare da una parte anche là dove la linea divisoria si assottiglia fino a scomparire, nelle fredde istituzioni dove il potere celebra se stesso, aule e palazzi fastosi dove i passi girano in circolo su percorsi ciechi, le immagini si inseguono in un gioco di specchi, le parole sono ovattate e i pensieri ignorano la verità. Qui, dove mi portava il lavoro quotidiano, era facile smarrirsi, qui i due mondi si confondono in quello peggiore e stare da una parte è un giuramento da ripetere ogni giorno.
Con grandissimo ritardo ho capito che le nostre lenti erano deboli e i nostri strumenti antiquati, e che osservare un grande scenario non vuol dire conoscerlo e tanto meno influenzarlo - così come accalorarsi per una competizione elettorale non equivale a prendere d'assalto la Bastiglia. E ancor più letteralmente mi sono accorto che lo scenario era mutato attorno a me, di pari passo con la mia età, in modo assolutamente imprevisto.
Lungo un quarto di secolo era mutato il rumore delle strade, il linguaggio delle persone, il valore delle cose, l'umore dei giovani, il passo delle donne, non solo nei grandi continenti ma nella stanza accanto, tra le pareti di casa. Era cambiato tutto meno la cosa che decide di ogni altra, l'inimicizia come spirito del mondo.
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