LE PERIPEZIE DI KAROL
ATTRAVERSO LE UTOPIE E LE TRAGEDIE DEL XX SECOLO
La scomparsa di K. S. Karol, firma storica del "manifesto" e del "Nouvel Observateur", giornalista cosmopolita, una vita e un'attività che raccontano il secolo breve.
di Guido Moltedo - 11 aprile 2014 - Europaquotidiano.it
Quando arrivava a via Tomacelli, la sua eleganza negligé eppure impeccabile, il maglione a collo alto su una giacca di tweed, la sua pipa e i tabacchi odorosi, a volte il fumo acre delle Gitanes senza filtro, i capelli sale e pepe poi tutti bianchi, Karol portava buon umore nella redazione del manifesto. Anche Rossana, quando c’era lui, era sorridente, contenta, più affabile – si volevano davvero bene e si vedeva – e si concedeva pure lei una Gitane, che aspirava con eleganza. La coppia ci piaceva molto, su questo c’era unanimità, sul resto ci si poteva pure dividere. Anche Luigi Pintor, Valentino Parlato, Michelangelo Notarianni e gli altri “vecchi” erano in buona e ascoltavano attenti e divertiti le analisi e i racconti di Karol, i suoi resoconti originali, a tratti ironici, che si parlasse di Francia, da dove veniva, o del Partito laburista, o della Cina. Con loro, con Rossana Rossanda e Karol, sentivamo che il manifestoaveva davvero una marcia in più, non solo perché giornale politico forte e rispettato, ma anche perché tra i pochissimi in Italia ad avere uno sguardo intelligente e critico oltre i confini.
K. S. Karol, con il suo temperamento estroverso e simpatico, portava il mondo nelle stanze un po’ trasandate e autoreferenziali del “quotidiano comunista”, anche con quella sua parlata roca e curiosa, un italiano accentato di francese, intercalato da termini ed espressioni che coniava lui e che gli venivano con naturalezza dalle tante lingue conosciute, russo, polacco, inglese, oltre al francese e all’inglese, frasi condite dagli immancabili ectera ectera, o quoi? Un internazionalismo linguistico che sfoggiava con disinvoltura e che ci parlava della sua vita straordinaria, in giro in tanti paesi, e del valore davvero unico della sua esperienza di giornalista impegnato, di intellettuale cosmopolita ed esigente, di comunista d’altri tempi.
Fa effetto leggere sul Nouvel Observateur, l’altro suo giornale, che Karol, ogni volta che arrivava in redazione, suscitava anche lì lo stesso clima positivo, e anche lì non finiva di stupire con la sua incredibile capacità di muoversi nel mondo. «Arrivava in fine mattinata – ha scritto René Backmann, in un bel commiato dal titolo Ciao Karol – e diceva “bonjour mes enfants”, poi s’installava nel suo ufficio di fronte alla segreteria del servizio esteri e cominciava a sfogliare, poi a leggere con attenzione la stampa britannica, italiana, russa, polacca. Per Karol, solamente per Karol, il servizio esteri del Nouvel Observateur, era, a quei tempi, abbonato a una folla di giornali che lui solo leggeva. Che lui solo poteva leggere». Poi al telefono, anche ore, con amici a Roma, Lisbona, Madrid, Londra, Mosca, Varsavia, Praga.
Abbiamo saputo che Karol Kewes, così si chiamava K. S. K., è morto a Parigi un paio di giorni fa, dopo un periodo lungo di sofferenza, potendo contare sulla vicinanza amorevole di Rossana. Aveva novant’anni, molti dei quali vissuti intensamente, avendo attraversato da testimone ma anche da protagonista, epoche tumultuose di cambiamento in varie parti del mondo.
Parlando di sé in una breve “bio” scritta nel 2000 per la Beinecke Library della Yale University, Karol racconta della sua nascita a Lodz, in Polonia, nell’agosto del 1924 «in una famiglia ebrea non religiosa» e di suo padre «ricco banchiere a Rostov sul Don» che «dopo la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917 aveva deciso di emigrare in Polonia». Poi la scuola in un istituto cattolico, dove molto precocemente si politicizza, quindi la divisione della Polonia, nel 1939, e lui che attraversa le linee polacche per andare a combattere nell’Unione Sovietica con l’Armata Rossa contro i nazisti. Sette anni di vita consegnati a un libro bellissimo, “Solik. Peripezie di un giovane polacco nella Russia in guerra”. Il libro «ha la freschezza della gioventù senza l’appesantimento delle riflessioni della vita matura», scrisse John C. Campbell su Foreign Policy quando fu pubblicato in America nel 1987.
La vita di Karol, ha scritto ancora Backmann, «è stata una traversata delle utopie e delle tragedie del Ventesimo secolo, in Europa e altrove». Tornato in Polonia nel 1946, rivede due suoi fratellastri che lo mettono in contatto con un terzo, Eugen, che vive a Londra ed è uomo d’affari di successo. Grazie a Eugen conosce e fa amicizia con Aneurin Bevan, dirigente storico della sinistra laburista, e con Michael Foot, che diventerà leader del Labour negli anni di Thatcher. Intanto ha imparato il francese, e si trasferisce definitivamente a Parigi dove inizia la sua brillante carriera giornalistica. Nel 1965 ha la rara fortuna per quei tempi di visitare la Cina, grazie anche all’amicizia con Edgar Snow. «Fui uno dei pochissimi giornalisti stranieri che nel 1965 potessero trascorrere quattro mesi in Cina, viaggiando in diverse province», scriverà Karol nella sua “bio” per Yale. E la Cina resterà un tema costantemente al centro del suo interesse. Sulla storica prima prima pagina del manifesto, del 28 aprile 1971 spicca una sua “corrispondenza dalle basi rosse di Mao”.
Da quel suo lungo viaggio cinese scaturì “La Cina di Mao. L’altro comunismo”, un libro che piacque molto a Fidel Castro. Che lo invita Cuba, per il suo compleanno, quarantun anni, il 13 agosto 1967, e gli propone di scriverne uno del genere su Cuba, potendo contare su ogni tipo di assistenza. «Ricordo ancora – ha scritto ieri Luciana Castellina sul manifesto – quando Karol, che proprio in quegli anni era diventato il compagno di vita di Rossana, tornò dal viaggio che nell’isola liberata dalla dittatura aveva compiuto con lei: su e giù insieme a Castro su una jeep, a perlustrare e il paese della prima rivoluzione vincente del continente sudamericano». Castro era allora in rapporti tutt’altro che buoni con Mosca e intendeva spiegare a Karol, nel libro, il perché. «Sfortunatamente – racconterà Karol – per scrivere un libro ci vuole tempo e, nel frattempo, dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968 aveva cambiato parere. Quando apparve il mio libro, “La guerriglia al potere”, non aveva altra scelta se non scomunicarmi. E lo fece nel 1971, dichiarando che ero un agente della Cia…»
Con Cuba, con Castro, i conti non si sarebbero mai chiusi, da parte di Karol e Rossanda. Ma l’idea di un altro comunismo non è mai venuta meno, anche quando già scricchiolava vistosamente il mondo dell’est. Restano, di quella ipotesi di cambiamento possibile, due importanti convegni, a Venezia e a Milano, alla fine degli anni Settanta, sulle società post-rivoluzionarie organizzati dal quotidiano di via Tomacelli, con intellettuali di alto livello, in gran parte amici di Karol e Rossana, tutti accomunati dall’irriducibile critica nei confronti dei socialismi dell’est, che, tuttavia, ritengono riformabili: come Ralph Miliband, padre di David e Ed, Daniel Singer, Charles Bettelheim, Louis Althusser.
Il crollo del Muro non sorprende tuttavia Karol, anche se stenta a cogliere la novità di Mikhail Gorbaciov. Gli anni che seguono sono occupati dall’unipolarismo americano e dalla crescita esponenziale della Cina. È difficile adattarsi, per intellettuali come Karol, comunisti eretici, abituati a porsi criticamente rispetto a un mondo bipolare, nel quale uno dei due poli è governato da un sistema inaccettabile, perché deviato, eppure riformabile. Quell’ipotesi è crollata con il Muro, c’è solo spazio per attaccare Blair e la Terza via, che Karol, legato anche personalmente alla sinistra laburista, detesta. Nulla in confronto ai grandi scontri e confronti ideologici dell’età del mondo diviso in due.
Castellina ha scritto che è riduttivo «dire che Karol è stato un grande giornalista», ricordandone il suo ruolo nel manifesto. Certo è stato molto più che un reporter e un analista, e tra i migliori. Ma oggi che fare il giornalista con quella libertà critica e con quella disponibilità di risorse di cui godeva Karol è un miraggio, andrebbe anche sottolineato che il giornalismo nelle sue migliori espressioni, come in Karol, è una formidabile e alta forma della politica. Non era l’ambizione su cui è stato fondato il manifesto?
@GuidoMoltedo
QUI SPECIALE - RICORDO DI K. S. KAROL
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