Il manifesto nasce contestando da sinistra non solo il socialismo reale ma tutta la politica del Pci. Mettendo al centro il conflitto sociale
Vittorio Rieser
La sinistra italiana ha avuto la fortuna di veder svilupparsi al suo interno - negli anni '50 e '60 - una critica allo stalinismo e al socialismo reale che non conduceva (come in genere avvenne in quegli anni) a una critica «da destra» ai partiti comunisti, che chiedeva (nei casi migliori) una loro conversione alla socialdemocrazia, o - in altri casi - portava i «critici» a «passare dall'altra parte».
Certo, in molti altri paesi (come anche in Italia) la Quarta Internazionale portava avanti, in quegli anni, una meritoria critica di sinistra allo stalinismo, ma questa era racchiusa in confini teorici e organizzativi che la rendevano quasi sempre un fenomeno «settario».
Ricordiamo, molto sommariamente, alcune tappe che questo «percorso critico» ebbe in Italia.
Il primo episodio clamoroso di rottura di dirigenti comunisti con lo stalinismo, quello di Valdo Magnani (e di Aldo Cucchi, che in seguito però prese strade diverse) aveva già alcune caratteristiche originali: il suo riferimento non erano le democrazie occidentali ma la Yugoslavia di Tito, e - nell'abito delle socialdemocrazie occidentali - le sinistre come quella laburista di Bevan. Tuttavia, Magnani non contestava l'impianto strategico complessivo del Pci, ma solo il suo rapporto con lo Stato-guida: tant'è vero che, quando questo si allentò, egli coerentemente ritornò nel partito.
Il 1956, con il 20° congresso, la rivolta di Poznan, la rivolta ungherese repressa dall'intervento militare sovietico, fu il primo momento in cui le contraddizioni esplosero su vasta scala. Ma il loro segno prevalente fu in direzione della socialdemocrazia - un esempio tipico, certamente dignitoso e non banale, fu quello di Antonio Giolitti. Solo in rari casi lo scontro con il partito fu anche con la sua strategia italiana: vale la pena di ricordare il caso (isolato) di Bianca Guidetti Serra a Torino.
Ma, negli anni successivi, si forma nella sinistra italiana (politica e sindacale) una spinta innovatrice caratterizzata da più elementi: un'attenzione agli aspetti nuovi e «moderni» del capitalismo italia- no;una «riscoperta della fabbrica» come luogo centrale del conflitto di classe; una «riscoperta del marxismo», liberato dalle incrostazioni sovietiche (e crociane) della sua versione «ufficiale», e un'attenzione ai filoni più avanzati dell'economia e della sociologia «borghese». In questa temperie, gli spunti critici verso lo stalinismo e quelli verso la linea prevalente del Pci si intrecciano: è un mix potenzialmente esplosivo, anche se questa potenzialità darà luogo a esiti diversificati.
«Quaderni rossi» sono un'espressione peculiare di quel movimento innovatore. Essi sono, per così dire, «costitutivamente fuori» dallo stalinismo - non a caso, il numero di Mondo Operaio che Panzieri dedicò al quarantesimo della rivoluzione d'ottobre può essere visto come uno dei loro «testi fondanti». Ma la critica del socialismo reale non è oggetto diretto della loro ricerca teorica. Certo, Panzieri nel suo articolo «plusvalore e pianificazione» sul n° 4 dei QR critica con grande acutezza alcuni presupposti teorici presenti nello stesso Lenin; ma gli articoli dei QR non si occupano di Unione sovietica. Si occupano, se mai, di Cina, e il modo in cui lo fa Edoarda Masi è certamente antistalinista, ma ancora una volta in modo indiretto: le questioni verranno esplicitamente a galla con la rivoluzione culturale, quindi in anni successivi (l'ultimo numero dei QR è del 1966, quando la rivoluzione culturale stava appena delineandosi).
1968 segna una nuova tappa, dai due versanti - del socialismo reale e delle società capitalistiche.
L'intervento sovietico in Cecoslovacchia demolisce le ultime speranze di capacità «auto-rifor- matrice» del socialismo reale; ma a questo fa riscontro, in occidente e in particolare in Italia, un movimento di lotta senza precedenti, che vede protagonista la classe operaia ma coinvolge anche gli studenti. Le condizioni per una «critica da sinistra al socialismo reale» sono quindi più che mai mature.
Il lavoro del manifesto è l'espressione più ricca e incisiva di questa possibilità. Nei numeri della rivista pubblicati in quegli anni, c'è una saldatura teorico-politica tra l'approccio critico al socialismo reale e quello alla società capitalistica; la critica alla linea del Pci investe quindi, in modo collegato, ambedue i piani.
Il «retroterra teorico» di questa posizione è espresso in modo emblematico in un celebre articolo di Rossana Rossanda, «da Marx a Marx», che indica con chiarezza una linea di ricupero del pensiero di Marx (non del «marxismo» spesso impoverito e ossificato) come strumento potente di critica alla realtà, di analisi della struttura di classe della società, capitalistica o socialistica che sia.
(Mi sia qui concessa una «parentesi personale». All'epoca, io obiettai che - nel percorso teorico delineato dall'articolo «mancava Mao Zedong». Rispetto al testo dell'articolo, avevo ragione. Ma Rossanda dimostrerà poi ampiamente di essere una delle poche persone che comprenderanno a fondo la linea di Mao - reinserendolo così «idealmente» nel percorso delineato da quel suo articolo).
L'analisi di classe del socialismo reale resterà un filo conduttore del lavoro del manifesto, che porterà, quasi dieci anni dopo, al convegno di Venezia del 1978 su questi temi.
Ed è questo uso di Marx, della sua analisi di classe, a rendere esplosiva la miscela di critica al socialismo reale e di critica al capitalismo proposta allora dai compagni del manifesto. Se si fossero limitati a proporre una condanna più radicale dell'intervento in Cecoslovacchia e della politica sovietica, sarebbero stati probabilmente «tollerati» in un Pci che non era più quello che bollava come «traditore» e «pidocchio» Valdo Magnani. Ma il meccanismo di analisi che essi proponevano metteva in questione troppe cose, e per questo si cercò di bloccarlo.
Naturalmente, la radiazione del gruppo del manifesto (non erano più i tempi delle «espulsioni per indegnità morale e politica», usate in passato contro i dissidenti) non bloccò un bel niente; ma servì al gruppo dirigente del Partito comunista per operare una cesura tra ciò che restava della sua «sinistra interna» e il nucleo più avanzato di elaborazione critica, che faceva capo alla rivista.
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